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martedì 20 dicembre 2022

Mons. Schneider: la messa tradizionale, anche a costo di un “esilio liturgico”



Mons. Athanasius Schneider


In occasione della Conferenza sull'identità cattolica organizzata fatta dalla rivista The Remnant l'1 e 2 ottobre 2022 a Pittsburgh (Stati Uniti), mons. Athanasius Schneider ha rilasciato diverse dichiarazioni. Troveremo qui le parole più significative del Vescovo ausiliare di Astana (Kazakhstan), sulla Messa tradizionale e sulla persecuzione a cui è sottoposta a Roma e nelle diocesi.

Su LifeSiteNews del 4 ottobre si potevano leggere queste parole tratte dal suo convegno di Pittsburgh: "Il potere attuale odia ciò che è santo, e quindi perseguita la Messa tradizionale", parole forti integrate da questo saggio appello: "Ma la nostra risposta non dev’essere né rabbia né pusillanimità, ma una profonda sicurezza nella verità e pace interiore, gioia e fiducia nella Divina Provvidenza".

Il presule ha anche affermato: "dichiarare la Messa riformata di papa Paolo VI espressione unica ed esclusiva della lex orandi del rito romano — come sta facendo Papa Francesco — viola la tradizione bimillenaria di tutti i romani pontefici, che non hanno mai mostrato una così rigida intolleranza".

E ha aggiunto: "non si può creare all’improvviso un nuovo rito — come ha fatto Paolo VI — e dichiarandolo voce esclusiva dello Spirito Santo ai nostri tempi, e allo stesso tempo tacciando il precedente rito — rimasto pressoché immutato nell’arco di almeno 1.000 anni — di essere carente e dannoso per la vita spirituale dei fedeli". E precisa questa argomentazione, affermando che ciò "porta inevitabilmente alla conclusione che lo Spirito Santo contraddice Se Stesso".

sabato 12 novembre 2022

BASILICA VATICANA: IL RISULTATO DELLA GESTIONE DI FRA MAURO GAMBETTI



Carissimi amici e lettori da alcuni mesi Silere non possum sta rendendo pubblici i risultati della gestione portata avanti dal frate francescano Mauro Gambetti nella Basilica di San Pietro. Se San Francesco amava circondarsi dei poveri, non si può dire lo stesso del Cardinale Arciprete della Basilica Vaticana. Eventi, pranzi costosi, viaggi e salotti con personaggi potenti. La Fabbrica di San Pietro è diventata una piccola fortezza nella quale entrano solo personaggi di un certo rilievo. Il Cardinale ha spostato il suo ufficio al terzo piano e ha chiaramente vietato l’accesso ai pellegrini e ai dipendenti. Se ai tempi di Angelo Comastri, qualche fedele poteva ambire a farsi benedire dall’Arciprete, oggi questa possibilità è assolutamente impensabile.

mercoledì 5 ottobre 2022

Le persecuzioni e lo sterminio dei cristiani non è mai finito.



Nel mondo sono oltre 360 milioni i cristiani che sperimentano un livello alto di persecuzione e discriminazione a causa della loro fede,nel silenzio più assordante della comunità internazionale.  L'Afghanistan oggi è il Paese più pericoloso al mondo per i cristiani, seguito da Repubblica popolare cinese,Venezuela,Nicaragua, Corea del Nord, Somalia, Libia, Yemen, Eritrea, Nigeria, Pakistan Iran, India e Arabia Saudita, solo per citare alcuni Paesi. Oltre 360 milioni di cristiani, a ogni latitudine, sono oggetto di persecuzione a causa della propria fede.

Inoltre, sono aumentati fino a 4.761 i fedeli uccisi negli ultimi 12 mesi per la loro fede (i dati si riferiscono nell'arco di un anno). I cristiani uccisi per ragioni legate alla fede crescono del 60%, con la Nigeria ancora terra di massacri, assieme ad altre nazioni dell’Africa Sub-Sahariana colpite dalla violenza anticristiana: tra i primi Paesi con più uccisioni di cristiani si trovano 8 nazioni africane.

domenica 2 ottobre 2022

Alle deliranti farneticazioni del dittatore Ortega:La Chiesa risponde con la preghiera.




Daniel Ortega, dittatore del Nicaragua e idolo della sinistra mondiale, sferra i suoi colpi sulla Chiesa cattolica e sul popolo nicaraguense"


La Chiesa cattolica sempre più nel mirino del governo sandinista in Nicaragua. A nulla sono valse le parole distensive pronunciate da Papa Francesco sul volo di ritorno dal Kazakistan. "In questo momento c'è dialogo", aveva detto il Sommo Pontefice  rispondendo ad una domanda sulla situazione nicaraguense. Questa settimana, però, sono arrivate le parole di fuoco del presidente Daniel Ortega a schiaffeggiare la mano tesa dalla Santa Sede.
L'ex guerrigliero, che per la quarta volta nel 2021 dopo elezioni non del tutto chiare e cristalline,fortemente  contestate dalla comunità internazionale, dall'inizio dell'anno in corso ha messo nel mirino la Chiesa cattolica che con i suoi vescovi e religiosi hanno avuto il coraggio e lo zelo apostolico e hanno
denunciato le violazioni dei diritti umani e la repressione della società civile in atto. La persecuzione religiosa per mano del regime tirannico che opprime il Nicaragua è più che evidente: in questi giorni ha fatto il giro del mondo l'immagine di monsignor Rolando José Alvarez Lagos in ginocchio e con le mani alzate, circondato da poliziotti armati.
È il vescovo della diocesi di Matagalpa e amministratore apostolico della diocesi di Estelí, noto per le sue parole critiche contro gli abusi di potere del dittatore Daniel Ortega. Oggi si trova agli arresti domiciliari.Ortega in uno dei suoi tanti deliri di onnipotenza ha affermato nel corso di una diretta televisiva che la Chiesa cattolica "usa i vescovi in Nicaragua per realizzare un colpo di Stato".
Ma non è un evento isolato, è l'intensificarsi delle vessazioni subite dalla Chiesa in Nicaragua dopo le proteste avvenute lo scorso 2018 contro il regime sandinista e che la sono stati più volte denunciati attraverso numerosi articoli da diversi quotidiani.Padre Edwin Roman, parroco di San Miguel di Masaya, una città del Nicaragua sudoccidentale, il 14 novembre aveva annunciato una messa destinata in particolare ai parenti dei detenuti politici, ma alla maggior parte dei fedeli è stato impedito l’accesso e la funzione è stata celebrata alla presenza del piccolo gruppo di persone che erano entrate prima dell’arrivo degli agenti. Nelle ore successive è stato fatto circolare un video registrato mentre il sacerdote discuteva con la polizia e si è sparsa la notizia che il gruppo entrato nella chiesa aveva deciso di rimanervi e di incominciare uno sciopero della fame. Per tutta risposta le autorità nella notte hanno tolto all’edificio luce elettrica e acqua. L’agenzia Fides riporta che già altre volte le forze dell’ordine hanno impedito lo svolgimento delle attività della Chiesa cattolica a Masaya. Il 12 novembre del 2019 ad alcuni sacerdoti è stato impedito l’accesso alla sede in cui si svolgeva l’incontro mensile dei sacerdoti che era stata circondata da poliziotti. Padre Edwin a ottobre aveva coraggiosamente denunciato in televisione la crescente repressione esercitata contro la Chiesa nel paese: “le aggressioni che la Chiesa sta vivendo oggi – ha detto – superano le aggressioni di coloro che ne furono vittime negli anni 80 durante la guerra civile nel nostro paese. Negli anni 80 c’era la dittatura di Somoza contro gente armata, questa invece è una dittatura contro un popolo disarmato”. Il 25 agosto 2022 dopo l'attentato in Cattedrale, in Nicaragua l'odio verso la Chiesa prosegue: preso di mira il Santuario di Santa Rita da Cascia Teustepe. L'immagine della santa è stata deturpata. Il quotidiano La Bussola intervista il vicario dell'arcidiocesi di Managua, Fonseca: «Qui c'è un attacco frontale dello Stato contro la Chiesa, perché il presidente ci ha insultato, è una guerra aperta contro la Chiesa e l'impressione è che l'obiettivo sia farla fuori». L'appello alla Comunità internazionale: «I sacerdoti si sentono minacciati, girano squadre di incappucciati impuniti». Già il 31 luglio il Nicaragua ha fatto notizia per l'“attentato terroristico” - come è stato definito dallo stesso episcopato - subìto dalla Cattedrale di Managua, dopo il lancio da parte di uno sconosciuto di una molotov, che ha provocato l'incendio che successivamente ha bruciato il tabernacolo e l'immagine del Sangue di Cristo. Un'immagine di cui si celebravano quest'anno i 382 anni dall’arrivo a Managua, che era sopravvissuta a quattro terremoti ed era stata venerata da San Giovanni Paolo II nel 1996, durante la sua seconda visita nel Paese centroamericano.

L'immagine calcinata del sangue di Cristo è diventata un simbolo della sofferenza del popolo nicaraguense, che prima dell'arrivo del Covid19 stava già attraversando una profonda crisi socio-politica ed economica, causata dal crudele regime sandinista di Daniel Ortega, segnalato dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite per la persistenza di gravi abusi dall’anno 2018.

“Qui stiamo sopravvivendo a tutte le pandemie che abbiamo, quella politica, sanitaria, della sicurezza e alle persecuzioni”, ha detto Mons. Silvio Fonseca la Chiesa nicaraguense vive la violenza che la assedia e che sembra non fermarsi. “Qui c'è un attacco frontale dello Stato contro la Chiesa, è una guerra aperta contro la Chiesa e  l'obiettivo sia farla fuori”.Ogni giorno siamo più preoccupati perché ora il regime sta cambiando strategia. La polizia si è dedicata alla visita dei sacerdoti del Paese, assicurando loro protezione contro le minacce che possono esserci contro la Chiesa. Ma tutto questo nasconde la malvagità, è inquietante! È un nuovo capitolo che si apre per fingere che qui non c’è persecuzione religiosa, quando è il contrario. Qui c’è un odio istituzionalizzato, che ha permeato la mentalità e le azioni dei simpatizzanti del partito comunista e, tra loro, della polizia contro i preti. All’improvviso hanno iniziato a visitare tutte le chiese e tra i sacerdoti c'è preoccupazione per cosa si nasconde dietro tutto questo. Non ci inganneranno e stiamo vedendo fino a che punto può arrivare questa operazione di invasione delle Chiese, perché quando raggiungono un prete invadono una comunità cattolica.
In Nicaragua c'è un popolo,c'è una Chiesa accanto al suo popolo che soffre ogni giorno, perché chiede che gli vengano riconosciuti la libertà e la democrazia, vogliono che il Paese possa eleggere i suoi leader in elezioni libere e trasparenti. La maggioranza in Nicaragua è cattolica e vogliono un cambiamento senza violenza, però c'è una repressione permanente, il Paese è militarizzato. C'è un popolo che soffre terribilmente e chiedono alla comunità internazionale di farsi almeno eco a ciò che sta accadendo nel Paese.

Il vescovo di Terni mons. Francesco Antonio Soddu:" all' innagurazine della Casa Massonica"



Non capita di frequente che la Casa Massonica del Grande Oriente d’Italia in via Roma a Terni, apra le proprie porte al pubblico. Martedì pomeriggio è accaduto, in occasione dell’inaugurazione del nuovo ingresso, celebrata con istituzioni, autorità e ‘fratelli’ del G.O.I. ternano e delle sue logge. In occasione dell’inaugurazione del nuovo ingresso. Un evento al quale hanno partecipato istituzioni, autorità oltre ai liberi muratori delle logge cittadine. A tagliare il nastro il Gran Maestro Stefano Bisi, accolto davanti alla sede di via Roma da Luca Nicola Castiglione, presidente del Collegio Circoscrizionale dei Maestri Venerabili dell’Umbria, da Gabriele Cardona, presidente del Consiglio dei Maestri Venerabili di Terni e da numerosi Dopo la cerimonia ha avuto luogo la visita alla Casa Massonica che conta al proprio interno due templi, alla quale hanno preso parte il sindaco Leonardo Latini, il prefetto Giovanni Bruno, e per completare la ciliegina sulla torta Sua Ecc.Mons. Vescovo Francesco Antonio Soddu, che nei loro messaggi di saluto hanno ringraziato per l’invito ed espresso l’auspicio che iniziative come questa possano alimentare il dialogo e il confronto tra realtá diverse sconfiggendo i pregiudizi. Presenti anche il parlamentare Raffaele Nevi e l’assessore comunale Cristiano Ceccotti.



Uno dei primi atti di mons. Francesco Antonio Soddu, vescovo di Terni dal 29 ottobre 2021, è stato dunque quello della visita a una sede della Massoneria, un’associazione segreta, condannata da innumerevoli documenti della Chiesa, che propone una visione del mondo direttamente antitetica a quella cattolica.

La condanna della Massoneria non è mai stata abolita. La Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, in un suo documento del 26 novembre 1983, stabilisce che “rimane immutato il giudizio negativo della Chiesa nei riguardi delle associazioni massoniche, poiché i loro principi sono sempre stati considerati inconciliabili con la dottrina della Chiesa e perciò l’iscrizione ad esse rimane proibita. I fedeli che appartengono alle associazioni massoniche sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla Santa Comunione”. E questo vale per ogni tipo di Massoneria, latina o anglosassone. Non ci sono due o più massonerie, alcune buone, altre cattive. La Massoneria, fin dal suo documento fondativo, le “Costituzioni di Anderson” del 1717, presenta un’ideologia, che mette da parte ogni verità religiosa e morale, riducendo le religioni tradizionali a opinioni soggettive. Il relativismo costituisce in questo senso l’anima della Massoneria, anche se non ne racchiude tutta l’essenza. La Massoneria, infatti, presume di essere una “religione universale”, depositaria di un segreto di cui il massone prende gradualmente coscienza attraverso i riti, i simboli, i testi che assimila, ma anche attraverso l’atmosfera coinvolgente che respira nelle logge in cui è inserito. Il tempio della Massoneria di Terni, appena inaugurato, sarà un luogo in cui l’incauto aspirante massone abbandonerà la Chiesa cattolica per essere immesso in una setta anticristiana in cui perderà la sua anima e smarrirà la strada al destino di eterna felicità a cui la fedeltà al Vangelo lo chiama.

Il vescovo di Terni è un successore degli Apostoli. C’è un aureo libretto di sant’Alfonso Maria de’Liguori, dal titolo Riflessioni utili a’vescovi per la pratica di ben governare le loro chiese, ripubblicato qualche anno fa proprio in Umbria (a cura di Mario Colavita, Edizioni Tau, Todi 2015), di cui consigliamo la lettura a mons. Soddu e a tutti i vescovi italiani.

Il compito dei Pastori è quello di salvare le anime del loro gregge, non di portarle all’apostasia e alla perdizione. Perciò, spiega sant’Alfonso, se il vescovo è negligente circa la salute delle sue pecorelle, “sarà reprobo nel tribunale di Gesù Cristo”. Questa è purtroppo la strada su cui si è messo mons. Francesco Antonio Soddu, vescovo di Terni-Narni-Amelia, partecipando all’inaugurazione del Grande Oriente di Terni, fianco a fianco con il Gran Maestro della Massoneria italiana.

Che cosa si può fare di fronte a un evento così grave, se non denunciarlo apertamente e pregare per un intervento della Divina Provvidenza che ponga fine a questi scandali che si moltiplicano in Italia e nel mondo?

martedì 2 agosto 2022

SOLENNITA' DEL PERDONO DI ASSISI




Tratto dal sito: “San Francesco

LA BASILICA DI SANTA MARIA DEGLI ANGELI E LA PORZIUNCOLA
La piccola chiesa della Porziuncola è stata il punto di riferimento di tutta la vita di Francesco. Quando il Santo giunse qui agli inizi del 1200, la chiesetta dedicata alla Vergine Assunta era circondata da una selva di querce e giaceva in uno stato di quasi totale abbandono. Francesco la riparò con le sue mani.

Qui il 24 febbraio 1208 scese nel suo cuore la parola di Gesù: “Andate... annunciate che il Regno dei cieli è vicino; non procuratevi né oro né argento né bisaccia; gratuitamente avete ricevuto gratuitamente date”. Francesco ne fu folgorato e pieno di gioia disse il suo sì più grande a Dio: “Questo è ciò che voglio, questo è ciò che desidero fare con tutto il cuore!”. Subito abbandonò le ricche vesti, indossò una tonaca a forma di croce e iniziò ad annunciare ovunque il Vangelo. Alla Porziuncola (ottenuta in dono dai monaci Benedettini del monte Subasio) stabilì la sua dimora.

Qui accolse i primi compagni. Qui fondò l'Ordine dei Frati Minori. Da qui partirono i primi frati, inviati da Francesco, ad annunziare la pace. Qui, la notte della domenica delle Palme del 1211, il Santo accolse Chiara di Assisi e la consacrò al Signore. Fu qui che il Santo tenne i primi "Capitoli" dei suoi Frati, riunioni generali cui partecipavano inizialmente tutti i suoi figli. Qui, in una notte del luglio 1216 riuscì ad ottenere da Cristo e dalla Vergine, che gli erano apparsi, la promessa straordinaria che quanti, lungo i secoli, si fossero recati a pregare nella Porziuncola, avrebbero ottenuto la completa remissione delle loro colpe: il Perdono di Assisi. Qui, infine, concluse la sua vita accogliendo la morte cantando. Era il 3 ottobre del 1226. […]


SOLENNITA' DEL PERDONO DI ASSISI: ECCO COME SI OTTIENE.

Dal mezzogiorno del primo agosto alla mezzanotte del giorno seguente (2 agosto), oppure, col permesso dell'Ordinario (Vescovo), nella domenica precedente o seguente (a decorrere dal mezzogiorno del sabato fino alla mezzanotte della domenica) si può lucrare una volta sola l'indulgenza plenaria (cfr. CCC n.1471-1479).

Condizioni richieste:

1 - Visita, entro il tempo prescritto, a una chiesa Cattedrale o Parrocchiale o ad altra che ne abbia l'indulto e recita del “Padre Nostro” (per riaffermare la propria dignità di figli di Dio, ricevuta nel Battesimo) e del “Credo” (con cui si rinnova la propria professione di fede).

2 - Confessione Sacramentale per essere in Grazia di Dio (negli otto giorni precedenti o seguenti).

3 - Partecipazione alla Santa Messa e Comunione Eucaristica.

4 - Una preghiera secondo le intenzioni del Papa ( un "Credo" un “Padre Nostro” e un'“Ave Maria” o altre preghiere a scelta), per riaffermare la propria appartenenza alla Chiesa, il cui fondamento e centro visibile di unità è il Romano Pontefice.

5 - Disposizione d'animo che escluda ogni affetto al peccato, anche veniale.

Le condizioni di cui ai nn. 2, 3 e 4 possono essere adempiute anche nei giorni precedenti o seguenti quello in cui si visita la chiesa; tuttavia è conveniente che la Santa Comunione e la preghiera secondo le intenzioni del Papa siano fatte nello stesso giorno in cui si compie la visita. […]

LA STORIA: COME SAN FRANCESCO CHIESE ED OTTENNE L'INDULGENZA DEL PERDONO

Una notte dell'anno del Signore 1216, Francesco era immerso nella preghiera e nella contemplazione nella chiesetta della Porziuncola, quando improvvisamente dilagò nella chiesina una vivissima luce e Francesco vide sopra l'altare il Cristo rivestito di luce e alla sua destra la sua Madre Santissima, circondati da una moltitudine di Angeli. Francesco adorò in silenzio con la faccia a terra il suo Signore!

Gli chiesero allora che cosa desiderasse per la salvezza delle anime. La risposta di Francesco fu immediata: "Signore, benché io sia misero e peccatore, ti prego che a tutti quanti, pentiti e confessati, verranno a visitare questa chiesa, conceda ampio e generoso perdono, con una completa remissione di tutte le colpe". "Quello che tu chiedi, o frate Francesco, è grande - gli disse il Signore -, ma di maggiori cose sei degno e di maggiori ne avrai. Accolgo quindi la tua preghiera, ma a patto che tu domandi al mio Vicario in terra, da parte mia, questa indulgenza".

E Francesco si presentò subito al Pontefice Onorio III che in quei giorni si trovava a Perugia e con candore gli raccontò la visione avuta. Il Papa lo ascoltò con attenzione e dopo qualche difficoltà dette la sua approvazione. Poi disse: "Per quanti anni vuoi questa indulgenza?". Francesco scattando rispose: "Padre Santo, non domando anni, ma anime". E felice si avviò verso la porta, ma il Pontefice lo chiamò: "Come, non vuoi nessun documento?". E Francesco: "Santo Padre, a me basta la vostra parola! Se questa indulgenza è opera di Dio, Egli penserà a manifestare l'opera sua; io non ho bisogno di alcun documento: questa carta deve essere la Santissima Vergine Maria, Cristo il notaio e gli Angeli i testimoni".

E qualche giorno più tardi, insieme ai Vescovi dell'Umbria, al popolo convenuto alla Porziuncola, disse tra le lacrime: "Fratelli miei, voglio mandarvi tutti in Paradiso!"

lunedì 1 agosto 2022

Di chi è la Chiesa?



di A.P
Sono più di 2000 anni che si parla di Chiesa.

Chi ne parla?

Ne parlano tutti; chi ha il dovere di parlarne, chi pensa di sapere cosa dire su questa meravigliosa e straordinaria creatura e anche chi, sprovvisto di un minimo di conoscenza sul perché della Chiesa, cerca di inserirsi nel discorso, il più delle volte facendo brutta figura, perché non ne conosce la storia divina e umana, il suo significato e soprattutto la sua costituzione, che anche se apparentemente può sembrare di fattezza terrena, tuttavia non è così, perché prima di tutto, la Chiesa è fatta di cielo e quindi, coloro che la formano, cioè il Popolo Santo di Dio, i battezzati, sono anzitutto fatti di cielo.

Poi, possiamo arrivare a fare tutte le considerazioni possibili, a dire tutti i pensieri che ospitiamo nel nostro cuore e nella nostra mente, ma non dobbiamo mai dimenticare da dove nasce parte la Chiesa.

Nasce da Cristo, dal suo cuore che arde d’amore e l’ha affidata alle premure di Pietro, il quale, pur debole e fragile ne sarebbe stato il custode saggio e fidato, restando sempre in comunione con il suo fondatore e con la compagnia del cielo.

C’è una promessa che viene sempre a consolarci nei momenti bui, quando la Chiesa sembra essere sul punto del tracollo, quando alcuni o molti dei suoi figli manifestano di prediligere altri pascoli e anche quando alcuni dei suoi pastori lasciano intravvedere altri interessi che qualche volta potrebbero portare a pensare che sono gli interessi di colui che vorrebbe distruggere la Chiesa.

Questa promessa è di Gesù e appunto l’ha comunicata a Pietro dicendogli: “Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”.

Non dobbiamo mai dimenticarci queste parole e neppure pensare che la Chiesa fallirà, scomparirà o sarà annientata dall’anti Cristo.

Pensare questo, significherebbe non avere fede e ritenere la Chiesa e soprattutto il suo fondatore come di natura umana.

Detto questo, possiamo lasciarci guidare anche da tutte quelle buone e giuste definizioni che nel tempo ci siamo dati per presentare la Chiesa come strumento di salvezza per i battezzati. La Chiesa, e noi non possiamo non definirla“cattolica”, perché così l’ha voluta Cristo, è l’insieme di tutti i battezzati che, vivendo sulla terra, professano la stessa fede e legge di Cristo, partecipano agli stessi Sacramenti, ed esprimono la loro fede in comunione e obbedienza ai legittimi pastori, principalmente al Romano Pontefice.I legittimi pastori della Chiesa, sono il Romano Pontefice, cioè il Papa, che è il Pastore universale, ed i Vescovi. Inoltre, sotto la dipendenza dei Vescovi e del Papa, hanno parte nell'officio di pastori gli altri sacerdoti specialmente coloro che sono più prossimi al Popolo di Dio, i sacerdoti in cura d’anime, che ricordano ai battezzati questi principi irrinunciabili per poter essere dentro alla Chiesa.

Le verità sono eterne e sebbene il tempo fa il suo corso, presentandoci ad ogni alba un criterio diverso di interpretazione delle verità delle fede, tuttavia, non possiamo accodarci a questo pensiero debole che rischia di compromettere la nostra onorabilità di figli di Dio. Ancora una volta, vale la pena ricordare la promessa di Cristo, perché questa è una bandiera che sventolerà sempre, non sui pennoni, ma nel cuore di ogni figlio di Dio e della Chiesa: “Tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e darò a te le chiavi del regno de' cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato anche in cielo, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto anche in cielo”. E ancora: “Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle”.

Per noi cristiani, guardare a Pietro…guardare al legittimo successore di Pietro, è sinonimo di salvezza.

Tutti coloro che non riconoscono il Romano Pontefice come loro pastore e guida, non appartengono alla Chiesa di Gesù Cristo.Oggi, tante sette fondate dagli uomini, che si dicono cristiane "cattoliche", si possono facilmente distinguere nella loro povertà, rispetto alla vera Chiesa di Gesù Cristo per quattro contrassegni. La Chiesa di Cristo è Una, Santa, Cattolica e Apostolica “Cum Petro et sub Petro”. Oggi giorno, tanti fedeli cattolici vengono traviati per mezzo stampa, internet, televisione, ecc... da sproloquianti profeti di sventura e da sacerdoti dismessi dallo stato clericale per manifesta-eresia, cadendo nel vizio"dell'
autoreferenzialità".


L'autoreferenzialità è la radice e l'incapacità di riconoscere il bene a prescindere da chi lo fa. Colloca i classici difetti dell'egoismo e del narcisismo in una dinamica relazionale, cioè nelle difficoltà ad essere aperti al dialogo con Dio e con gli altri. Un cattolico non può essere autoreferenziale, poiché esso è membro vivo di una sola medesima Chiesa che si distingue nelle sue tre dimensioni essenziali: Chiesa gloriosa, Chiesa purificante, Chiesa pellegrina sulla terra. Da qualche tempo si assiste a uno stillicidio di messaggi e di articoli su quotidiani e commenti su facebook e in altri siti, dove si danno giudizi più o meno “pesanti” sui discorsi o prese di posizione dell’attuale Pontefice Papa Francesco, messi in rete da chi è convinto in mala fede, che c'è stato un complotto a danno di Benedetto XVI.A volte, i messaggi sono talmente puerili e ridicoli che viene da ridere o forse da piangere. Tornare a studiare la dottrina della Chiesa e il diritto canonico, con l'aggiunta della storia della Chiesa non guasterebbe a nessuno, tanto meno a quei sprovveduti che oggi la fanno da padroni.

Nel XII secolo i giuristi cominciarono a porsi il problema dell'ammissibilità di una rinuncia al papato, cercando di distinguere le eventuali cause legittime da quelle inammissibili, e ponendo anche il problema dell'inesistenza di un superiore gerarchico nelle cui mani il papa in carica potesse rassegnare le dimissioni.

Il giurista Baziano, sosteneva che la rinuncia fosse ammissibile in due casi: nel desiderio di dedicarsi esclusivamente alla vita contemplativa e nel caso di impedimenti fisici dovuti a malattia e a vecchiaia:

«Posset Papa ad religionem migrare aut egritudine vel senectute gravatus honori suo cedere».
Il canonista Uguccione da Pisa confermava le osservazioni di Baziano precisando che la rinuncia non doveva comunque danneggiare la Chiesa e doveva essere pronunciata di fronte ai cardinali o a un Concilio di Vescovi.

Le decretali di papa Gregorio IX, pubblicate nel Liber Extra del 1234, precisavano altre cause di rinuncia: oltre alla debilitazione fisica, veniva rintracciata l'inadeguatezza del Papa per defectus scientiae, nell'aver commesso delitti, nell'aver dato scandalo «quem mala plebsodit, dans scandala cedere possit» e nell'irregolarità della sua elezione, ma si escludeva quale legittimo motivo di rinuncia il desiderio di condurre una vita religiosa, il cosiddetto zelum melioris vitae, già ritenuto ammissibile dai canonisti.

Nell'immediatezza della rinuncia di papa Celestino V, altri interventi di canonisti, come il francescano Pietro di Giovanni Olivi, i teologi della Sorbona Godefroid de Fontaines e Pierre d'Auvergne, avallarono la decisione del papa abruzzese, mentre i cardinali nemici di Bonifacio VIII, Giacomo e Pietro Colonna, presentarono nel 1297 tre memoriali intesi a dimostrare l'illegittimità della rinuncia di Pietro da Morrone. Contro la rinuncia di Celestino si espressero anche Iacopone da Todi e Ubertino da Casale, che nel 1305 la giudicò una horrenda novitas, avendo favorito le successioni degli «anticristi a suo dire»di Bonifacio e Benedetto XI.

Successivamente alla rinuncia di Celestino V, fu papa Bonifacio VIII, emanando la costituzione Quoniamaliqui, a eliminare ogni condizione ostativa e a stabilire l'assoluta libertà del Pontefice in carica a rinunciare al papato, una norma recepita dal Codex Iuris Canonici del 1917.Il Codice di diritto canonico, o Codex Iuris Canonici, del 1983, al Libro II "Il popolo di Dio", parte seconda "La suprema autorità della Chiesa", capitolo I "Il Romano Pontefice e il Collegio dei Vescovi", contempla la rinuncia all'ufficio di romano pontefice:

«Can. 332 - §2. Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti.»

Papa Benedetto XVI, con piena libertà, ha dichiarato di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, come altri prima di lui. Il Codice di diritto canonico, al canone 332 paragrafo 2 dice che per la validità della rinuncia è richiesta la plena libertate e che questa sia debitamente manifestata, dove, per debitamente manifestata, dobbiamo rifarci al canone 189 paragrafo 1 che dice: “La rinuncia, perché abbia valore, sia che necessiti di accettazione o no, deve essere fatta all’autorità alla quale appartiene la provvisione dell’ufficio di cui si tratta, e precisamente per iscritto oppure oralmente di fronte a due testimoni”. La rinuncia di Benedetto XVI, resa pubblica l’11 febbraio 2013 ha assolutamente soddisfatto queste due condizioni. È stata fatta nel contesto di un Concistoro Ordinario pubblico (c’erano più di due testimoni quindi); tuttavia qualcuno potrebbe fare un’obiezione dicendo che la piena libertà consta della sfera personale di un individuo, ovvero riguarda il più intimo rapporto dell’uomo con Dio. In altre parole, nessuno può sapere con assoluta certezza se Benedetto XVI abbia rinunciato liberamente.Al diritto canonico non interessa indagare nei meandri più personali dell’uomo; al diritto canonico interessa ciò che è possibile provare, ciò che attiene al piano razionale. Fare congetture è sempre rischioso e poco professionale.In qualsiasi ambito, lo è ancora di più e si rischia di non giungere alla verità.

Quindi, possiamo definire tutte queste argomentazioni che ormai sono sulla ribalta fin dall’elezione di Papa Francesco, come “corsi e ricorsi della storia”.

Non stracciamoci le vesti per questo o per quell’altro…perché il Papa ha detto questo o fatto quell’altro…perché ha promulgato un documento piuttosto che un altro.

Impariamo a pregare per la Chiesa, per il Papa e per tutto il Popolo Santo di Dio, di cui facciamo parte anche noi.

Quella Promessa: “Tu es Petrus…” non verrà meno!

Parola di Gesù Cristo!

giovedì 28 luglio 2022

"Mea culpa" di che?



Cari amici e lettori , 
su corrispondenza romana un articolo a firma del Professore Roberto De Mattei ci invita a questa riflessione storica a proposito del mea culpa di Papa Bergoglio nel suo viaggio in Canada.

La Chiesa cattolica, fedele al mandato del suo divino Maestro: «Andate per tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc. 16, 15), ha svolto, fin dalla sua fondazione una grande opera missionaria, attraverso la quale ha portato al mondo non solo la fede, ma la civiltà, santificando luoghi, popoli, istituzioni e costumi. Grazie a quest’opera, la Chiesa ha civilizzato anche i popoli delle due Americhe, immersi nel paganesimo e nelle barbarie.

In Canada, la prima missione gesuita tra i pellirosse irochesi, diretta dal padre Charles Lallemant (1587-1674), sbarcò a Quebec nel 1625. Una nuova missione arrivò nel 1632, guidata dal padre Paul Le Jeune (1591-1664). Il padre Giovanni de Brébeuf (1593-1649), ritornò nel 1633 con due padri. Di capanna in capanna, cominciarono ad insegnare il catechismo a fanciulli e ad adulti. Ma alcuni stregoni convinsero gli Indiani che la presenza dei padri causava la siccità, le epidemie e ogni altra disgrazia. I gesuiti decisero allora di proteggere i catecumeni isolandoli in villaggi cristiani. Il primo fu edificato a 4 miglia da Québec. Ebbe il suo fortino, la sua cappella, le sue case, l’ospedale, la residenza dei Padri.

Contemporaneamente alcuni volontari si offrivano per convertire gl’Indiani: santa Maria dell’Incarnazione Guyart Martin (1599-1672), un’orsolina di Tours, che aveva fondato con altre due religiose un pensionato a Québec per l’istruzione dei fanciulli indiani; la signora Marie-Madeleine de la Peltrie (1603-1671), una vedova francese, che aveva creato con alcune suore ospedaliere di Dieppe un ospedale, sempre a Québec; i membri della Società di Nostra Signora che, aiutati dal sacerdote sulpiziano Jean-Jacques Olier (1608-1657) e dalla Compagnia del Santissimo Sacramento, costruirono nel 1642 Ville Marie, dalla quale sarebbe nata Montreal.

Gli Indiani Irochesi però si mostrarono irriducibilmente ostili. Essi avevano orribilmente mutilato il padre Isacco Jogues (1607-1646) e il suo coadiutore René Goupil (1608-1642) versando loro addosso carboni ardenti. Nel marzo 1649, gli Irochesi martirizzarono i padri de Brébeuf e Gabriele Lallemant (1610-1649). Il padre Brébeuf fu trafitto con aste arroventate e gli Irochesi gli strapparono brandelli di carne, divorandola sotto i suoi occhi. Poiché il martire continuava a lodare Dio, gli strapparono le labbra e la lingua e gli ficcarono in gola tizzoni ardenti. Il padre Lallemant fu torturato subito dopo con ferocia ancora maggiore. Poi un selvaggio gli fracassò la testa con la scure e gli strappò il cuore, bevendone il sangue, per assimilarne la forza e il coraggio. Un’altra ondata d’odio fece, nel mese di dicembre, due nuovi martiri, i padri Charles Garnier (1605-1649) e Noël Chabanel (1613-1649). Gli otto missionari gesuiti, conosciuti come “martiri canadesi” furono proclamati beati da papa Benedetto XV nel 1925 e canonizzati da papa Pio XI nel 1930.

Questi episodi fanno parte della memoria storica del Canada e non possono essere dimenticati. Papa Francesco, come gesuita dovrebbe conoscere questa epopea, narrata, tra gli altri, dal suo confratello padre Celestino Testore, nel libro I santi martiri canadesi, apparso nel 1941, e ripubblicato in Italia dall’editore Chirico nel 2007.

Ma soprattutto il Santo Padre avrebbe dovuto trattare con maggior prudenza il “caso” della presunta scoperta di fosse comuni nelle cosiddette ‘Indian residential schools’ del Canada, una rete di collegi per gli indigeni canadesi fondate dal governo e affidate prevalentemente alla Chiesa cattolica, ma anche in parte alla chiesa anglicana del Canada (30%), con l’idea di integrare i giovani nella cultura del paese, secondo il Gradual Civilization Act, approvato dal Parlamento canadese nel 1857. Negli ultimi decenni però la Chiesa cattolica fu accusata di aver partecipato a un piano di sterminio culturale dei popoli aborigeni, i cui giovani venivano sequestrati alle famiglie, indottrinati e talvolta sottoposti ad abusi, per essere “assimilati” dalla cultura dominante, Nel mese di giugno 2008 il governò canadese, su posizioni “indigeniste”, fece le sue scuse ufficiali agli indigeni e istituì una Commission de vérité et réconciliation (CVR), per le scuole residenziali indiane.

I ricercatori della Commissione, malgrado i 71 milioni di dollari ricevuti, hanno lavorato sette anni, senza trovare il tempo di consultare gli archivi degli Oblati di Maria Immacolata, l’ordine religioso che, alla fine dell’Ottocento, iniziò a gestire le Residential Schools. Basandosi, invece, proprio su questi archivi, lo storico Henri Goulet, nella sua Histoire des pensionnats indiens catholiques au Québec. Le rôle déterminant des pères oblats (Presses de l’Université de Montréal, 2016) ha dimostrato che gli Oblati erano gli unici difensori della lingua e del modo di vita tradizionale degli Indiani del Canada, a differenza del governo e della chiesa anglicana, che insistevano per una integrazione che sradicava gli indigeni dalle loro origini. Questa linea storiografica trova conferma nelle opere di uno dei maggiori studiosi internazionali della storia religiosa del Canada, il prof. Luca Codignola Bo, dell’Università di Genova.

Dall’accusa di “genocidio culturale” si è intanto passati a quella di “genocidio fisico”. Nel maggio 2021, la giovane antropologa Sarah Beaulieu, dopo aver analizzato con un georadar il terreno vicino all’ex scuola residenziale di Kamloops, ha lanciato l’ipotesi dell’esistenza di una fossa comune, pur senza aver fatto nemmeno uno scavo. Le affermazioni dell’antropologa, divulgate sui grandi media e avallate dal premier Justin Trudeau, si sono trasformate in narrative diverse, alcune delle quali affermano che «centinaia di bambini» sarebbero «stati uccisi» e «sepolti segretamente» in «fosse comuni» o in tumuli irregolari nei terreni di «scuole cattoliche» di «tutto il Canada».

Questa notizia è semplicemente priva di qualsiasi fondamento, visto che non sono mai stati riesumati dei cadaveri, come già ha documentato Vik van Brantegem il 22 febbraio 2022 sul suo blog Korazym.org. Il 1 aprile 2022, sul blog Uccr è apparsa un’accurata intervista allo storico Jacques Rouillard, professore emerito della Facoltà di Storia dell’Università di Montreal, che smentisce categoricamente il genocidio culturale e quello fisico degli indigeni canadesi, negando l’esistenza di fosse comuni nelle scuole residenziali. Egli è convinto che, dietro a tutto, ci sia solo un tentativo di risarcimento milionario. Lo scorso 11 gennaio lo stesso prof. Rouillard ha pubblicato sul portale canadese Dorchester Review un ampio articolo in cui afferma che nessun corpo di bambino è stato trovato nelle presunte fosse comuni, in sepolture clandestine o in qualsiasi altra forma di sepoltura irregolare nella scuola di Kamloops. Dietro i collegi ci sono solo semplici cimiteri, in cui venivano sepolti gli studenti delle scuole, ma anche i membri della comunità locale e gli stessi missionari. In base ai documenti presentati da Rouillard, 51 bambini sono morti in quell’internato tra il 1915 e il 1964. Nel caso di 35 di loro sono stati trovati documenti che provano la causa della morte, soprattutto malattie e in alcuni casi incidenti. Un nuovo articolo del professor Tom Flanagan e del magistrato Brian Gesbrecht, pubblicato il 1 marzo 2022 sul Dorchester Review con il titolo The False Narrative of the Residental Schools Burials, ribadisce come non c’è traccia di un solo studente ucciso nei 113 anni di storia delle scuole residenziali cattoliche. Secondo gli stessi dati forniti dalla Commission de vérité et réconciliation (CVR) il tasso di mortalità nei giovani che frequentavano le scuole residenziali era in media di circa 4 decessi all’anno ogni 1.000 giovani e la causa principale era dovuta a tubercolosi ed influenza. Sembra che finalmente si siano autorizzati gli scavi a Kamloops, ma, come afferma il prof. Rouillard, sarebbe stato meglio si fossero svolti lo scorso autunno, così da conoscere la verità ed impedire a papa Francesco di venire a scusarsi sulla base di ipotesi non provate. Queste le parole dell’accademico canadese: «È incredibile che una ricerca preliminare su una presunta fossa comune in un frutteto abbia potuto portare a una tale spirale di affermazioni avallate dal governo canadese e riprese dai media di tutto il mondo. Non si tratta di un conflitto tra storia e storia orale aborigena, ma tra quest’ultima e il buon senso. Sono necessarie prove concrete prima che le accuse contro gli Oblati e le Suore di Sant’Anna possano essere scritte nella storia. Le esumazioni non sono ancora iniziate e non sono stati trovati resti. Un crimine commesso richiede prove verificabili, soprattutto se gli accusati sono morti da tempo. È quindi importante che gli scavi avvengano al più presto, affinché la verità prevalga sulla fantasia e sull’emozione. Sulla strada della riconciliazione, il modo migliore non è forse quello di cercare e raccontare tutta la verità piuttosto che creare miti sensazionali?»

martedì 19 luglio 2022

Il silenzio è il «luogo» nel quale Dio ci aspetta: di d.Bruno osb



Sangue e silenzio sono due suoni distinti, due parole che parlano linguaggi diversi. Messe insieme formano un’unica sinfonia che richiama un’unica voce, quella di Dio Amore e invita a partecipare con la nostra adesione ed offerta. Il Sangue che fluisce dalla croce è un suono, un fenomeno che si fa voce: canta l’amore e lo dichiara come unica possibilità di vita. “Non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13). Il Sangue è il distillato dell’amore: è fuoco di desiderio, la voce della misericordia, la verità sempre accesa, la linfa della vita, la schiettezza della libertà del cuore che ama.

Il silenzio dell’amore

C’è nel Sangue l’eloquenza dell’amore che commuove e il silenzio di un Dio che si dona senza parole, ma con i gesti concreti di martirio. Nel Sangue c’è la forza dell’Amato che non si ritira di fronte alla prova, e c’è il silenzio di chi riceve la sua energia e attonito stupisce per l’abbondante effusione d’amore. In quel fluire rubinante di vita non ci sono parole che accompagnano il suo scorrere fino a terra, c’è invece un silenzio profondo che avvolge la croce e il Calvario. È il silenzio della misericordia divina che ancora oggi invita a sostare ai piedi del Crocifisso e a consegnare, muti e accorti, la nostra esistenza a quel rinnovamento che solo l’amore sa operare. Guardare il Sangue e udire il sottile mormorio del suo scorrere giù fino a terra, fa vibrare il cuore di energia d’amore e accelera i suoi battiti fino al pianto di gioia. E proprio nel silenzio è possibile conoscere l’amore del Signore, avvicinarsi alla santa croce ricoperta di sangue di vita, e piangere fino ad unire le proprie lacrime a quel flusso di pace rubiconda. Non servono le parole a chi ormai sa sostare a lungo in quel fiume di misericordia; non occorre gridare neppure aiuto se sappiamo accogliere in silenzio la sconcertante libertà divina che rigenera donandosi e morendo in silenzio su una croce. Nelle nostre relazioni umane l’amore, per dirsi, alterna parola e silenzio, senza distinguersi ma confondendosi in ogni occasione. Là dove risuona la parola “ti amo”, si accresce il bisogno di silenzio; e là dove il silenzio si fa più fine, la parola diviene più delicata e carica di mistero. Dio dice il suo amore col silenzio e con la parola, senza mai opporre l’uno all’altra: in Lui parola e silenzio si identificano.

La vitalità del Sangue

Ama il silenzio chi sa adorare il fluire del Sangue di Cristo. Non usa parole chi si immerge in questa sorgente così eloquentemente silenziosa. Ode il gorgoglio sottile dello scorrere del Sangue, chi sa appoggiare l’orecchio del cuore alla terra forata dalla speranza di quel Sangue divino. Adora in silenzio chi ha sperimentato la forza redentrice della misericordia che si dona e tace. Non formula preghiere chi conosce tutta la preziosità e l’efficacia di quel Sangue, ma apre la sua mente e il suo cuore, per lasciare che sia il Crocifisso glorioso a dissetare la sua ansia di salvezza. Quel Sangue di misericordia entra ancora, silenzioso, nelle crepe della nostra storia e nel buio dei dolorosi eventi del mondo; si mescola nelle lacrime brucianti di donne e uomini piegati dal peso dei silenzi che urlano minaccia e odio. Quel Sangue è carico di energia di pace e nel suo silenzio è conduttore di forza sanante di vita futura. Queste mie piccole riflessioni ci invitano alla contemplazione amorosa della forza sanante del Sangue di Cristo. Noi tutti, nella preghiera adorante e silenziosa, possiamo immergerci in questa Sorgente di Vita, senza smettere di ascoltare il grido di uomini e donne piegati dal peso dell’odio e dei silenzi che urlano minaccia in tutto il mondo. Perché il Sangue di Cristo è certezza di vita futura per tutti.

mercoledì 13 luglio 2022

Solo Lui sa ridonare luce al nostro cammino.



«Non abbiate paura!»
Questa espressione, come si sa, era ricorrente, negli scritti e sulle labbra di Giovanni Paolo II. Fin dalle prime battute del suo lungo Pontificato (1978-2005) il Santo Padre invitò tutti ad aprire con fiducia la mente e il cuore a Cristo Signore, ad accoglierlo nella propria vita, nel proprio lavoro, nella trama dei propri affetti e desideri.

Solo Lui sa ridonare luce al nostro cammino. 

Carissimi amici, anche oggi credere in Gesù, seguire Gesù sulle orme di Pietro, di Tommaso, dei primi apostoli e testimoni, comporta una presa di posizione per Lui e non di rado quasi un nuovo martirio: il martirio di chi, oggi come ieri, è chiamato ad andare contro corrente per seguire il Maestro divino, per seguire "l'Agnello dovunque va" (Ap 14,4).Per questo soltanto un cammino religioso e spirituale è in grado di rassicurare il nostro cuore pauroso, perché ricorda che la storia, la vita di ciascuno non è preda del caso o del prepotente di turno, ma si trova saldamente nelle mani di Dio, che ci invita a riporre la nostra fiducia in Lui, e dunque a non temere.
Questo invito a non avere paura, poiché ogni potere viene dal Padre, rivela un’immagine di Lui all’insegna della tenerezza e dell’affetto; per questo, al timore degli uomini e degli eventi, Gesù sostituisce il più veritiero timore di Dio. Si tratta di un timore che, lungi dall’angosciare, pacifica il cuore. Non è un caso che questo passo sia l’unico, in tutti i Vangeli sinottici, in cui Gesù chiama i suoi discepoli amici: «C’è in questa parola la garanzia dell’amore personale del Signore che li accompagnerà fino nella morte. Quindi, non temete! Il potere degli uccisori è limitato: la morte che gli uomini possono infliggere non tocca la vita umana nella sua realtà più profonda».
La paura si vince decidendosi per qualcosa che vale, animati dal desiderio di una vita piena, degna di essere vissuta. La paura può essere placata solo rispondendo all’unica voce capace di rassicurare il cuore . Il mondo è ferito dall’urto della pandemia prima e adesso anche dalla guerra,gli uomini hanno smarrito molte delle loro sicurezze. Il mondo lo dobbiamo salvare colla grazia infinita del Signore, ma non lo dobbiamo seguire, avallare, scusare nei suoi errori e nei suoi peccati.

“Non abbiate paura”.

Gesù fin dal primo momento avverte i discepoli che nella loro attività troveranno difficoltà, persecuzioni, incomprensioni... Comunque, la minaccia maggiore non viene da coloro che tenteranno di metterli a tacere, e neppure da coloro che attenteranno alla loro vita. L’unico vero pericolo è quello “che ha il potere di far perire nella Geenna l’anima e il corpo”, quello che può condurre al peccato, alla perdita dell’amicizia con Dio.

Ci piaccia o no, la paura fa parte della vita umana. Fin da bambini abbiamo provato timori che poi si rivelavano infondati e sparivano. Anche nella maturità ci si presentano delle paure per certe situazioni spiacevoli – dolore, incomprensioni, solitudine, incertezze, morte... – che ci vengono incontro e che dobbiamo affrontare e superare con i nostri sforzi e con l’aiuto di Dio.

Però un discepolo di Cristo non ha motivo di temere, perché non è solo. Dio è un Padre amorevole, che, se si occupa delle sue creature sin nei minimi dettagli, a maggior ragione si prenderà cura dei suoi figli fedeli. “La soluzione è amare. San Giovanni apostolo scrive delle parole che mi colpiscono molto: ‘qui autem timet, non est perfectus in caritate’. Io le traduco così, quasi letteralmente: chi ha paura, non sa amare. Dunque tu, che sei innamorato e sai amare, non puoi avere paura di nulla! Ave Maria e  Avanti!”

venerdì 24 giugno 2022

Cuore Amabile esaltato sulla croce


Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, il quale, mite e umile di cuore, esaltato sulla croce, è divenuto fonte di vita e di amore, a cui tutti i popoli attingeranno.Nella città di Paray-le-Monial, in un monastero della Visitazione, verso l'anno 1670, trovandosi in un giorno dell'ottava del Corpus Domini, Santa Margherita Maria Alacoque, prostrata innanzi al Santissimo Sacramento esposto alla pubblica adorazione, le apparve Gesù, e le diede a vedere il suo SS. Cuore.

Era questo tutto investito da fiamme, circondato da una corona di spine, squarciato da una ferita, e con una croce piantatavi sopra. « Vedi, disse Gesù alla sua adoratrice, vedi questo Cuore che si strugge d'amore per gli uomini, ciò nonostante non riceve che ingratitudine e oltraggi. Questo Cuore è sempre disposto a versare grazie e benedizioni sopra di tutti; ma gli oltraggi continui che mi fanno, ne impediscono la diffusione.Pensa tu adunque a riparare un sì lagrimevole disordine, e fa che il venerdì successivo all'ottava consacrata all'onore del mio Divin Corpo, sia specialmente consacrato all'onore del mio Divin Cuore, riparando con onorevole ammenda e devota comunione le offese che ricevo nella divina Eucaristia. Io spargerò abbondanti benedizioni su quanti mi presteranno questo culto; e a te affido l'incarico di far conoscere ed eseguire il mio volere ». Margherita, si accinse all'adempimento della volontà di Gesù.

Il Pontefice Clemente X approvò solennemente la devozione al Sacro Cuore e l'arricchì di molte indulgenze.Le prime testimonianze sono antiche, risalenti al Tardo Medioevo, ma il culto iniziò a fiorire nel corso del XVII secolo grazie a S. Giovanni Eudes e in particolare alle rivelazioni mistiche di S. Margherita Maria Alacoque. La prima festa dedicata al Sacro Cuore venne celebrata in Francia nel 1685, ma divenne universale per l’intera Chiesa Cattolica nel 1856, per volontà del grande papa Pio IX, successivamente, la santità papa Pio XI la innalzò la festa a rito doppio di prima classe con ottava.
Il cuore di Gesù Cristo, simbolo del suo amore per l’umanità. La fiamma sulla sommità simboleggia il fuoco inestinguibile e trasformativo dell’amore divino, la misericordia di Cristo. Le ferite, la corona di spine, la croce rievocano la sua morte e il suo sacrificio.

ATTO DI CONSACRAZIONE 

O Gesù dolcissimo, o Redentore del genere umano,
riguardate a noi umilmente prostrati dinanzi al vostro altare.
Noi siamo vostri, e vostri vogliamo essere;
e per poter vivere a Voi più strettamente congiunti,
ecco che ognuno si consacra al vostro Sacratissimo Cuore.
Molti purtroppo non Vi conobbero mai;
molti, disprezzando i vostri comandamenti, Vi ripudiarono.
O benignissimo Gesù, abbiate misericordia e degli uni e degli altri;
e tutti quanti attirate al vostro Cuore santissimo.
O Signore, siate il re non solo dei fedeli,
che non si allontanarono mai da Voi,
ma anche di quei figli prodighi che Vi abbandonarono;
fate che questi quanto prima ritornino alla casa paterna,
per non morire di miseria e di fame.
Siate il Re di coloro che vivono nell’inganno dell’errore,
o per discordia da Voi separati;
richiamateli al porto della verità e all’unità della fede,
affinché in breve si faccia un solo ovile sotto un solo Pastore.
Siate il Re di tutti quelli che sono ancora avvolti nelle tenebre
dell’idolatria o dell’islamismo;
e non ricusate di trarli tutti al lume e al regno vostro.
Riguardate infine con occhio di misericordia i figli di quel popolo che un giorno fu il prediletto;
scenda anche sopra di loro, lavacro di redenzione e di vita,
il Sangue già sopra di essi invocato.
Largite, o Signore, incolumità e libertà sicura alla vostra Chiesa;
largite a tutti i popoli la tranquillità dell’ordine;
fate che da un capo all’altro della terra risuoni quest’unica voce;
Sia lode a quel Cuore divino, da cui venne la nostra salute;
a Lui si canti gloria e onore nei secoli. Così sia.

Dal cuore trafitto di Cristo si scorge il Dio trinitario

Pio XII, nella lettera enciclica sul Sacro Cuore, ha voluto ribadire il legame che c’è fra cuore di Cristo e la vita del Dio trinitario, la prima fornace dell’amore, alla quale ogni altro amore s’accende: «…finalmente – afferma papa Pacelli – procureremo di porre in evidenza il nesso intimo che intercorre tra la forma di devozione da tributarsi al cuore del Redentore Divino e il culto che siamo tenuti a rendere all’amore che egli e l’augusta Trinità nutrono verso di noi» (Pio XII, Lett. enc. Haurietis aquas [5.5.1956], ). La ferita del cuore di Cristo non è un buco nero, l’entrata in un vicolo cieco o in una camera oscura; è, invece, un varco verso il mistero del Dio trinitario .

Solo perché è così, essa costituisce una vera janua coeli, l’immissione in un’esperienza di salvezza piena, definitiva e universale. Il cuore ferito del Crocifisso è l’icona finale di una storia d’amore salvifico. Infatti, solo come evento d’amore la croce è inscrivibile nel cristianesimo e salva e rivela l’idea di Dio che conosciamo dalla rivelazione biblica.

Una realtà radicale di amore, come è il cuore del Crocifisso, non può non avere una causa d’amore. Così, partendo dal cuore del Crocifisso, si può arrivare fino al cuore del Padre, dentro la Comunità trinitaria, nel vortice del mistero di quel Dio che «è amore» (1Gv 4,16). Ma perché il Crocifisso porta al mistero trinitario? Perché «la croce è della Trinità: è una sua azione, una sua grazia; è la dimostrazione concreta e radicale della sua misericordia che intende liberare l’uomo dal peccato e condurlo alla condizione filiale» (cf. M.G. Masciarelli, La croce pasquale, p. 7). Siccome la croce viene dalla Trinità, è comprensibile che dalla croce si vada alla Trinità, ossia che dal cuore del Crocifisso si arrivi al cuore del mistero trinitario.

L’amore che dà accesso alla Famiglia trinitaria, ad un tempo fonda e fortifica i nostri vincoli comunitari; il cuore riempito di amore dello Spirito (cf. Rm 5,5) è ciò che ci lega a Dio ed è ciò che ci lega fra noi; la comunità nasce dall’amore dello Spirito che fermenta come mistero di comunione fra noi e per gli altri.

La vita di comunità è una vita speciale di amore generata dai cuori in comunione fra loro: è l’avere «un cuor solo e un’anima sola» (At 4,32). Questa è una misteriosa riproduzione dell’esperienza d’amore della Trinità, fra il Padre che è l’Amante (e genera l’Amato) e il Figlio che è l’Amato (e accoglie nell’abbraccio di un infinito Amore, l’Amante), con l’interposizione dello Spirito, che è l’Amore (che distingue e unisce le divine persone del Padre e del Figlio).

Ogni vera esperienza d’amore è l’imitazione di questa esperienza trinitaria e, in modo speciale, l’imitazione di Gesù che sulla croce, luogo di mistero, col suo cuore squarciato, testimonia l’amore più ubbidiente al Padre, quale Figlio essenziale, e l’amore più solidale agli uomini quale Fratello necessario. Il Crocifisso ci chiede d’imitarlo nei due amori vissuti dal suo cuore martirizzato, fino ad avere noi pure un cuore simile al suo.
Dal cuore trafitto di Cristo si conosce il suo amore

La croce pasquale si fa riconoscere per la grande forza salvifica e il forte dinamismo di grazia e di gloria che la fanno vibrare in un modo potente e drammatico. La croce, però, così non appare a chi la guarda con i soli occhi della carne: a questi essa appare nel crudo realismo di un albero dalle radici recise (è un palo più che un albero).

L’unico dinamismo che la croce mostra al suo spettatore senza fede è quello dato dalla terribile agitazione di un Crocifisso che vi sta morendo, cui segue, però, subito la stasi tipica della morte.

All’occhio credente, invece, la croce appare indescrivibilmente dinamica da quando vi sale il Nazareno a quando ne è schiodato: Gesù consacra per sempre la croce pasquale come il segno di un infinito dinamismo d’amore che solo in parte riusciamo a percepire con l’occhio della fede.

Aperto il cuore, dura ancora la profezia di Giovanni: «Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua» (Gv 19,33-34). L’avvenimento sembra “ordinario”.

Sul Golgota avviene l’ultimo gesto di un’esecuzione romana: la verifica della morte del condannato. Così si poté dire anche di Gesù: sì, è veramente morto. Gesù è morto prima dei due malfattori crocifissi con lui.

Il colpo di lancia non è pertanto una nuova sofferenza per lui. È invece il segno del dono totale che egli ha fatto di se stesso, segno inciso nella sua stessa carne con l’apertura del suo cuore, manifestazione simbolica di quell’amore per cui Gesù ha dato tutto se stesso e continuerà a offrirsi a tutta l’umanità. È un segno che durerà fino in Cielo. Giovanni – solo tra gli evangelisti – insegna che le piaghe del Crocifisso, fra le quali c’è quella del cuore squarciato (cf. Gv 20,20.25.27), ci saranno anche in Cielo: saranno le ferite dell’«Agnello sgozzato e ritto in piedi» (Ap 1,7; 5,6).

Nella sua morte Gesù ha rivelato se stesso fino alla fine. Il cuore trapassato è la sua ultima testimonianza. L’apostolo Giovanni, che era ai piedi della croce, l’ha ben compreso. Nel corso dei secoli altri discepoli di Cristo e i maestri della fede l’hanno capito.

Attraverso il cuore di suo Figlio, trapassato sulla croce, il Padre ci ha dato tutto, gratuitamente. La Chiesa e il mondo ricevono il Consolatore: lo Spirito Santo. Gesù aveva detto: «Ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò» (Gv 16,7). Il suo cuore trapassato testimonia del fatto che “se n’è andato”. Egli manda finalmente lo Spirito di verità. L’acqua che esce dal suo costato trafitto è il segno dello Spirito Santo: Gesù aveva annunciato a Nicodemo la nuova nascita «da acqua e da Spirito» (Gv 3,5).

giovedì 16 giugno 2022

“Lauda Sion Salvatorem . . . Solennità Corpus Domini”.

Il dovere del Culto della SS. Eucaristia extra-Missam deve essere sempre tenuto in grande considerazione e costantemente alimentato perché «poggia su valida e solida base, soprattutto perché la fede nella presenza reale del Signore conduce naturalmente alla manifestazione esterna e pubblica di quella fede medesima» (Euch. Myst. n. 49). 



Oggi la Chiesa ringrazia per il dono dell’Eucaristia. Oggi la Chiesa adora il mistero eucaristico. Lo fa non soltanto oggi. Infatti l’Eucaristia decide della vita della Chiesa ogni giorno. Tuttavia la Chiesa desidera dedicare in modo particolare questo giorno al rendimento di grazie e all’adorazione pubblica.
Quanto si comprende, riflettendo sul mistero, l’amore geloso con cui la Chiesa custodisce questo tesoro di valore inestimabile! E come appare logico e naturale che i cristiani, nel corso della loro storia, abbiano sentito il bisogno di esprimere anche all’esterno la gioia e la gratitudine per la realtà di un così grande dono. Essi hanno preso coscienza del fatto che la celebrazione di questo divino mistero non poteva ridursi entro le mura di un tempio, per quanto ampio e artistico esso fosse, ma che bisognava portarlo sulle strade del mondo, perché Colui che le fragili specie dell’Ostia velavano era venuto sulla terra proprio per essere “la vita del mondo” (Gv 6, 51)


“E il Verbo si è fatto carne e ha preso dimora tra di noi”.



È il mistero che adoriamo, è il mistero che contempliamo amando. Dio ci ha così amati da venire in mezzo a noi ed è venuto in mezzo a noi per mezzo del sì di Maria Vergine e ha voluto, così, essere in tutto simile a noi, simile a noi perché voleva prendersi le nostre infermità, voleva addossarsi i nostri peccati e voleva dare all’uomo il senso della vita, voleva dare il perché della tribolazione, voleva dare, soprattutto, dare l’amore. Come si ama, gli uomini dovevano capirlo da Lui, dalla Sua parola e dal Suo esempio.

VERITÀ MIRACOLOSA


Ma è difficile capire? Sì, è difficile; perché si tratta d’un fatto reale e singolarissimo, compiuto dalla potenza divina, e che sorpassa la nostra normale e naturale capacità di comprendere. Bisogna credervi, sulla parola di Cristo; è il «mistero della fede» per eccellenza. Ma stiamo attenti. Il Signore ci si presenta, in questo Sacramento, non come Egli è, ma come Egli vuole che noi lo consideriamo; come Egli vuole che noi lo avviciniamo. Egli ci si presenta sotto l’aspetto di segni, di segni speciali, di segni espressivi, scelti da Lui, come se dicesse: guardatemi così, conoscetemi così; i segni del pane e del vino vi dicano ciò che Io voglio essere per voi. Egli ci parla per via di questi segni, e ci dice: così io ora sono tra voi.


PRESENZA REALE



Perciò, se noi non possiamo godere della presenza sensibile, noi possiamo e dobbiamo godere della sua reale presenza, ma sotto il suo aspetto intenzionale. Qual è l’intenzione di Gesù, che si dà a noi nell’Eucaristia? Oh! questa intenzione, se bene riflettiamo, ci è apertissima, e ci dice molte, molte cose di Gesù; ci dice soprattutto il suo amore. Ci dice che Egli, Gesù, mentre nell’Eucaristia si nasconde, nell’Eucaristia si rivela; si rivela in amore. Il «mistero di fede» si apre in «mistero di amore». Pensate: ecco la veste sacramentale, che al tempo stesso nasconde e presenta Gesù; pane e vino, dato per noi. Gesù si dà, si dona. Ora questo è il centro, il punto focale di tutto il Vangelo, dell’Incarnazione, della Redenzione: Nobis natus, nobis datus: nato per noi, dato per noi. Per ciascuno di noi? Sì, per ciascuno di noi. Gesù ha moltiplicato la sua presenza reale ma sacramentale, nel tempo e nel numero, per potere offrire a ciascuno di noi, diciamo proprio a ciascuno di noi, la fortuna, la gioia di avvicinarlo, di poter dire: è per me, è mio. «Mi amò, dice S. Paolo, e diede Se stesso - per me!» (Gal. 2. 20). E per tutti, anche? Sì, per tutti. Altro aspetto dell’amore di Gesù, espresso nell’Eucaristia. Conoscete le parole, con le quali Gesù istituì questo Sacramento, e che il Sacerdote ripete alla Messa, nella consacrazione: «. . . mangiatene tutti; . . . bevetene tutti». Tanto che questo stesso Sacramento è istituito durante una cena, modo e momento, familiare e ordinario, di incontro, di unione. L’Eucaristia è il sacramento che raffigura e produce l’unità dei cristiani; è questo un aspetto caratteristico della Eucaristia, molto caro alla Chiesa, «Noi formiamo un solo corpo, noi tutti che partecipiamo dello stesso pane» (1 Cor. 10, 17). Bisogna proprio esclamare, con S. Agostino: «O Sacramento di bontà! o segno di unità! o vincolo di carità!» (S. AUG., In Io. Tr., 26; PL 15, 1613). Ecco: dalla reale presenza, così simbolicamente espressa nell’Eucaristia un’infinita irradiazione si effonde, un’irradiazione d’amore. D’amore permanente. D’amore universale. Né tempo, né spazio gli impongono limiti. Ed ecco che noi in questo mistero dobbiamo sapere mettere tutta la nostra buona volontà, mettere cioè a disposizione della grazia del mistero tutta la nostra disponibilità. Mettere quanto per noi il Signore domanda e richiede, per la santificazione di ogni nostra anima, per la nostra santificazione, per il bene di tutto il mondo.

Noi, accogliendo la grazia del Signore, vogliamo farla fruttificare con l’intercessione della Madonna, della sua soave azione e protezione, in quella magnifica, meravigliosa realtà, per cui anche noi possiamo essere formati dalla Madonna ed essere anche noi degli altrettanti Gesù. Come la Madonna ha formato nel suo grembo Gesù, vuole formare ognuno di noi, perché abbia i lineamenti e la fisionomia del Cristo, perché possa essere una rinnovazione del Cristo, perché porti sempre quello che ha portato Cristo di vero amore a tutti, di vera salvezza per l’intero mondo.

mercoledì 15 giugno 2022

Le passioni di ignominia di don Christian Thouvenot




La Tradizione Cattolica è un organo di informazione che si vuole cattolico. A questo titolo, quasi ripugna abbordare soggetti di cui San Paolo voleva che non fosse fatta parola tra i cristiani: «Siate dunque degli imitatori di Dio, come figli beneamati: camminate nella carità, su esempio del Cristo, che ci ha amati e si è consegnato lui stesso a Dio per noi come una oblazione e un sacrificio dal gradevole profumo. Che non si senta neanche dire che vi siano tra di voi fornicazioni, impurità di qualche sorta, cupidigie, così come si confà a dei santi» (Ef. 5,1-3). 
Dal momento che il grande apostolo forma nei suoi discepoli degli altri Cristi, non può ammettere che si trovino ancora tra di loro degli schiavi delle passioni carnali e dello spirito di cupidigia... «Sappiatelo bene, né un impudico, né un impuro, né un uomo cupido - il quale è un idolatra - ha un’eredità nel regno di Cristo e di Dio» (ibid. 5,5). Il mondo contemporaneo tuttavia ha riallacciato, ormai da lungo tempo, con le perversioni più degradanti, dimenticando la sorte che fu riservata a Sodoma e Gomorra . È così che la pederastia, la bestialità e altre numerose perversioni sessuali si spandono nelle società moderne, a mano a mano che regrediscono il pudore, la fedeltà, la continenza e tutte le virtù capaci di temperare la concupiscenza. Contro la legge naturale e divina Di fronte agli attacchi contro il matrimonio cristiano e adesso contro il matrimonio naturale (l’unione stabile di un uomo e una donna in un focolare in vista di generare ed educare i propri figli), la Chiesa Cattolica ricorda senza stancarsi le verità della morale evangelica:

lunedì 13 giugno 2022

IL SANTO DEI MIRACOLI




SANT’ANTONIO DA PADOVA: IL SANTO DEI MIRACOLI




La predica è efficace quando parlano le opere

Dai «Discorsi» di sant'Antonio di Padova, sacerdote (I, 226).

Chi è pieno di Spirito Santo parla in diverse lingue. Le diverse lingue sono le varie testimonianze su Cristo: così parliamo agli altri di umiltà, di povertà, di pazienza e obbedienza, quando le mostriamo presenti in noi stessi. La predica è efficace, ha una sua eloquenza, quando parlano le opere. Cessino, ve ne prego, le parole, parlino le opere. Purtroppo siamo ricchi di parole e vuoti di opere, e così siamo maledetti dal Signore, perché egli maledì il fico, in cui non trovò frutto, ma solo foglie. «Una legge, dice Gregorio, si imponga al predicatore: metta in atto ciò che predica». Inutilmente vanta la conoscenza della legge colui che con le opere distrugge la sua dottrina.
Gli apostoli «cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito Santo dava loro il potere di esprimersi» (At 2, 4). Beato dunque chi parla secondo il dettame di questo Spirito e non secondo l'inclinazione del suo animo. Vi sono infatti alcuni che parlano secondo il loro spirito, rubano le parole degli altri e le propalano come proprie. Di costoro e dei loro simili il Signore dice a Geremia: «Perciò, eccomi contro i profeti, oracolo del Signore, che muovono la lingua per dare oracoli. Eccomi contro i profeti di sogni menzogneri, dice il Signore, che li raccontano e traviano il mio popolo con menzogne e millanterie. Io non li ho inviati né ho dato alcun ordine. Essi non gioveranno affatto a questo popolo. Parola del Signore» (Ger 23, 30-32).
Parliamo quindi secondo quanto ci è dato dallo Spirito Santo, e supplichiamo umilmente che ci infonda la sua grazia per realizzare di nuovo il giorno di Pentecoste nella perfezione dei cinque sensi e nell'osservanza del decalogo. Preghiamolo che ci ricolmi di un potente spirito di contrizione e che accenda in noi le lingue di fuoco per la professione della fede, perché, ardenti e illuminati negli splendori dei santi, meritiamo di vedere Dio uno e trino. Voglio parlare di due dei suoi miracoli:
I suoi sono miracoli di guarigione, perfino di resurrezione, a volte sono miracoli di conversione e di cambiamento del cuore, a volte sono miracoli che sembrano sconvolgere le leggi della natura.

Sant'Antonio di Padova araldo dell'Eucarestia


di don Ernesto Bellè
Tutta la santità viene sempre e soltanto dal Dio Uno e Trino.
Pertanto ogni angelo, a qualunque ordine appartenga ed ogni essere umano, nella misura in cui entrano in relazione con Dio, partecipano in grado superiore od inferiore alla santità.

Ora tra i Sacramenti istituiti da Gesù Cristo solo per gli uomini e non per altre creature, ce n'é uno che in modo particolarissimo ci rende partecipi della Santità di Dio, al punto che si verifica una comunione così piena, profonda e permanente da realizzare l'unità in Dio e così attuare, tra l'essere umano e la divinità, quanto viene espresso nella Genesi riguardo alla realtà sponsale: "E i due saranno una carne sola". Questa verità fu insegnata e talmente inculcata nel piccolo Fernando (questo era il nome di battesimo di Sant'Antonio fino a che non entrò nell'ordine di san Francesco) che egli non sapeva stare lontano dal suo Gesù. 

Sin da bambino Sant'Antonio apprese ad incontrarsi con Gesù Eucarestia, a dialogare con Lui, a trascorrere parte del suo tempo giornaliero facendo visita al suo Gesù, e questo fuori della regolare partecipazione alla Santa Messa. Più il tempo trascorreva e maggiormente, man a mano che cresceva e si faceva ragazzo, adolescente, giovane, egli scopriva la dolcezza di un'intimità d'amore con Gesù Sacramentato. 

Il suo Gesù era riuscito a riempire la giornata di Fernando tanto che tutto quello che questi faceva, o pensava di realizzare, lo riferiva e rapportava costantemente all'incontro che poi avrebbe concretizzato dinanzi al tabernacolo con lo stesso Gesù. Fu attraverso l'Eucarestia che il giovane Fernando apprese e sperimentò la sensibilità così delicata ed allo stesso tempo profonda del suo essere del Signore e questo non solo con il pensiero ed il semplice desiderio, bensì con la stessa vita nei comportamenti giornalieri e nelle varie occupazioni che lo riguardavano Il suo stare in famiglia, lo studio, la scuola, lo svago con gli amici dovevano essere sempre e soltanto un'attestazione del suo appartenere a Gesù.

domenica 12 giugno 2022

“Beato Transito di Sant'Antonio”


Sempre carica di suggestione, pur nella sua semplicità, la rievocazione del Transito di Sant’Antonio .
La sua morte santa avvenuta la sera del 13 giugno 1231, colpì tutta la Città di Padova per cui fu redatto presto un copione costruito sulla traccia della prima biografia del Santo l’Assidua, scritta all’indomani della sua morte.

Il transito di Sant' Antonio è una delle ricorrenze più importanti, che contraddistingue la vigilia della festa liturgica del Santo patavino.

«Trovandosi il Servo di Dio, Antonio nel luogo detto Arcella con i frati, la mano del Signore si aggravò su di lui, e il male crescendo con molta violenza suscitava molta ansietà. Dopo un breve riposo, fatta la confessione e parimenti ricevuta l’assoluzione, cominciò a cantare l’inno della gloriosa Vergine e a dire: O gloriosa tra le vergini […]. Recitato l’inno, alzò come soleva gli occhi al cielo e con lo sguardo fisso mirava a lungo dinanzi a sé. Chiedendogli il frate che lo sorreggeva che cosa vedesse, rispose: “Vedo il mio Signore”. I frati presenti, accorgendosi che s’avvicinava la sua fine fortunata, decisero di ungere il Santo con l’Olio della Sacra Unzione. Essendosi avvicinato un frate portandogli come d’uso la sacra Unzione, il beato Antonio lo guardò e disse: “Non è necessario, o fratello, che ciò tu mi faccia: ho già questa unzione dentro di me. Tuttavia è cosa buona per me e molto mi piace”. Poi, aperte le mani e giunte le palme, insieme ai frati cantò per intero i Salmi penitenziali. Si sostenne ancora mezz’ora e poi quell’anima santissima, liberata dal carcere della carne, fu assorbita nell’abisso della luce […]. Mentre dunque i frati con ogni diligenza e cautela cercavano di tenere nascosto agli estranei, agli amici e ai conoscenti il felice transito di lui, per non dovere subire il gran concorso delle folle, ecco fanciulli a frotte percorrere la città gridando: “E’ morto il Padre Santo! E’ morto sant’Antonio!”».

Inno O dei Miracoli

1. O dei miracoli

inclito Santo,

dell’alma Padova

tutela e vanto,

benigno guardami

prono ai tuoi pie’:

o sant’Antonio, prega per me! (2 volte)

2. Col vecchio il giovane

a te sen viene,

e in atto supplice

chiede ed ottiene;

di grazie arbitro

Iddio ti fe’:

o sant’Antonio, prega per me! (2 volte)

3. Per te l’oceano

si rasserena,

riprende il naufrago

novella lena:

morte e pericolo

fuggon per te:

o sant’Antonio, prega per me! (2 volte)

4. Per te riacquistansi

beni ed onore;

i morbi cessano,

cessa il dolore.

Ove tu vigili

pianto non è:

o sant’Antonio, prega per me! (2 volte)

5. Sempre benefico

ai tuoi devoti,

ne ascolti l’umili

preghiere e voti:

fammi propizio

il divin Re:

o sant’Antonio prega per me! (2 volte)