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giovedì 16 marzo 2017

La Suprema Congregazione del Sant’Uffizio, da allora sostituita dalla congregazione per la dottrina della Fede.

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Otto settembre 1907: Papa San Pio X promulga l’enciclica Pascendi dominici gregis per condannare il modernismo, “sintesi di tutte le eresie, strada aperta all’ateismo”. Nel paragrafo VI dell’enciclica, Papa Sarto elenca i punti principali del programma riformatore dei modernisti: tra essi lo svecchiamento delle Congregazioni romane, e in capo a tutte “quella del Sant’Uffizio e dell’Indice”. Sette dicembre 1965: ultima sessione pubblica del Concilio Vaticano II, nella quale PaoloVI proclama il culto dell’uomo (allocuzione Noi concludiamo). Lo stesso giorno, furono votati e promulgati gli ultimi quattro documenti conciliari, tra i quali la dichiarazione Dignitatis humanæ personæ sulla libertà religiosa, mentre Paolo VI ed il “patriarca” scismatico Atenagora dichiaravano la reciproca remissione delle scomuniche del 1054. Porta la data del 7 dicembre 1965 anche il motu proprio Integræ servandæ con il quale era soppressa la Suprema Congregazione del Sant’Uffizio, da allora sostituita dalla congregazione per la dottrina della Fede.

 Non si trattava solo di un cambiamento di nome o di regolamento, ma di spirito e finalità, in accordo appunto con la dichiarazione Dignitatis humanæ che, proclamando il diritto alla libertà religiosa, condannava implicitamente la dottrina e la prassi contraria della Chiesa. Vennero esauditi così i voti dei modernisti, dei quali si erano fatti portavoce, l’8 novembre 1963, nel famoso discorso contro la Curia Romana ed il Sant’Uffizio tenuto in Concilio, il cardinale Frings ed il suo giovane perito Joseph Ratzinger. La procedura del Sant’Uffizio, aveva dichiarato il card. Frings, “non si addice più alla nostra epoca, nuoce alla Chiesa ed è oggetto di scandalo per molti”. Invano aveva replicato “in preda a una emozione violenta e con la voce interrotta da singhiozzi” il segretario del Sant’Uffizio, card. Ottaviani, appellandosi all’autorità del Papa, innalzando “un’altissima protesta contro le parole che sono state pronunciate contro la Suprema Congregazione del Sant’Uffizio, il cui presidente è il Sommo Pontefice”. Quel presidente in cui confidava il cardinal Ottaviani, meno di due anni dopo, avrebbe solennemente dato ragione al cardinal Frings e a tutti i nemici del Sant’Uffizio (e della Chiesa). È evidente, infatti, che i malfattori di ogni risma non possono desiderare che l’abolizione della polizia, così come il nemico alle frontiere si rallegrerebbe della soppressione dell’esercito avversario. Allo stesso modo, il Pastore del gregge non ha solo il compito di condurre pecore e agnelli nei pascoli ma anche di difenderli dal lupo rapace. Un Pastore che, per principio, ritenesse non essere suo dovere e suo compito combattere contro i lupi che non cercano che di uccidere e sbranare, e avesse come intenzione programmatica non opporsi a essi e persino incoraggiarli, avrebbe per il fatto stesso dichiarato le sue dimissioni dal ruolo di Pastore. Cristo stesso ha affidato ai pastori della Chiesa le sue pecorelle, le anime redente dal suo Sangue, e l’integra dottrina da Lui rivelata, che sola può salvare: senza la Fede, difatti, è impossibile piacere a Dio. Ma è una pericolosa illusione pensare che “la verità non si impone che in virtù della stessa verità, la quale si diffonde nelle menti soavemente e insieme con vigore” (DH 1) e che pertanto la Chiesa non deve chiedere per sé che la libertà. È vero, verissimo, che la Fede, in quanto dono sovrannaturale di Dio, può venire solo dalla Sua grazia. Ma difendere la Fede, favorirne la propagazione, reprimere gli errori ad essa contrari, punirne l’abbandono: tutto questo è compito dell’autorità della Chiesa con l’aiuto e il sostegno del potere temporale, al quale spetta assicurare alla società il culto pubblico del vero Dio, la confessione della vera Religione, e il bene prezioso dell’unità religiosa. Pensare il contrario è non solo un grave errore, ma anche un pratico misconoscimento della natura umana ferita dal peccato originale nell’intelletto, nella volontà e nelle altre facoltà inferiori, e che tende con tanta facilità al male e all’errore. I Papi e iVescovi, come successori rispettivamente di Pietro e degli Apostoli, hanno pertanto sempre tenuto fede al loro sacro dovere di combattere l’eresia e tutti gli errori contro la Fede e la morale. Nei momenti però di maggior pericolo, quando la tempesta si manifestava così pericolosa che si poteva pensare che tutto era perduto, ecco che la Chiesa a mali così gravi oppose valido rimedio, che solo i nostri tempi che nulla stimano Dio e la Fede possono aborrire, e questo rimedio fu il tribunale della Santa Inquisizione. Un primo, grave pericolo, si manifestò nel medioevo col diffondersi dell’eresia catara e manichea, distruttrice non solo delle fondamenta del Cristianesimo, ma anche di tutta la vita sociale. Contro questa eresia, la Provvidenza rispose non solo con la santità – si pensi a San Domenico e San Francesco – ma anche con la nascente Inquisizione, ovvero con l’invio di giudici delegati direttamente dal Papa per gli affari della Fede e la repressione dell’eretica pravità. E furono proprio due Papi strettamente legati a san Francesco, Innocenzo III e Gregorio IX, che provvidero a questo rimedio (in modo compiuto solo con Gregorio IX, personale amico del Santo d’Assisi). Ed è agli ordini mendicanti tanto amati dal popolo, i Domenicani soprattutto, ma anche i Francescani, che la Chiesa affidò questo compito. Il secondo pericolo, la seconda grave infezione che minacciava di corrompere tutta la Cristianità, si manifestò nella penisola iberica alla fine del XV secolo, quando riconquistata la Spagna alla fede dopo quasi otto secoli di occupazione della maggior parte del territorio, i cristiani si trovarono a convivere con numerosi musulmani e giudei, nemici interni che spesso solo apparentemente e falsamente si facevano battezzare, covando nel loro cuore un insanabile odio per i dogmi della Trinità e dell’Incarnazione, per la Chiesa ed il battesimo. Papa Sisto IV istituì allora, su domanda dei Re Cattolici, con la bolla Exigit quell’Inquisizione che sarà detta Spagnola (e poi estesa al Portogallo, e a tutti i domini delle due corone) e che durò fino al 1820, appoggiandosi sempre su di un vasto sostegno popolare. Il terzo, quasi mortale pericolo si manifestò con l’eresia luterana. Fu allora che, su domanda del cardinal Gian Pietro Carafa, futuro Paolo IV, il Papa Paolo III istituì con la bolla Licet ab initio del 21 luglio 1542 la prima e più importante congregazione della curia romana: la Sacra e Universale Inquisizione. La storiografia più recente, seppure con intenti non condivisibili, ha enormemente rivalutato il ruolo di Papa Carafa e di questa istituzione nel successo della Controriforma cattolica e quindi nella salvezza della Chiesa (umanamente parlando) pericolante. Alla riforma dei costumi e al conseguente rifiorire della santità era però sempre necessario affiancare – pensava Paolo IV, e dopo di lui san PioV – il Tribunale della Fede. Ad esso dobbiamo se l’Italia fu preservata dalle terribili guerre di religione, che devastarono altri paesi, conservando l’unità religiosa nella vera fede. Santità e Inquisizione, abbiamo detto. Ma anche santità di tanti inquisitori, uomini religiosi, uomini di legge, ma anche pastori, che avevano come scopo la conversione e la salvezza dei rei, e che sapevano bene che esponevano la loro vita al coltello dell’eretico, come lo dimostrano i tanti martiri o confessori. Pensiamo alla grande santità di un san Pietro da Verona, o di un san Pio V! Quando gli stati cattolici iniziarono ad allontanarsi dalla Chiesa, minati dai Lumi dei filosofi e delle Logge, i Re tolsero il loro appoggio, l’appoggio del “braccio secolare”, e soppressero questi Santi Tribunali. Si voleva rendere onore alla Tolleranza, alla Libertà, e rendersi autonomi dall’autorità “di Roma”. Pochi anni dopo, resa la Chiesa inerme e indifesa, indifeso e inerme fu pure lo Stato, e la Rivoluzione eresse in pianta stabile la tollerante ghigliottina. Sono gli eredi di quei Lumi (lo ammettono essi stessi) e forse anche di quelle Logge, che hanno voluto distruggere l’ultima difesa della dottrina, il Sant’Uffizio, l’8 novembre 1963, e il 7 dicembre 1965. Con la Giornata del Perdono del 12 marzo 2000, voluta da Giovanni Paolo II, e il documento “Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato” redatto dalla Commissione teologica internazionale e approvato dal prefetto della congregazione per la dottrina della Fede, J. Ratzinger, i modernisti hanno rinnegato appunto il passato della Chiesa, e la lotta contro l’eresia voluta dalla Chiesa, dai Sommi Pontefici, da tanti Santi, per preservare la fede dei semplici, salvare le anime, mantenere integro il deposito della Fede. Noi al contrario della Chiesa e del suo passato non ci vergogniamo; lo rivendichiamo tutto, e anche per questo , a 50 anni dalla dichiarazione sul presunto diritto alla libertà religiosa, a condannare come delirio detto “diritto” e a rendere omaggio a quei tanti Santi che tale lo considerarono e come tale lo combatterono.

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