Riguardo all’omosessualità, oltre alla condanna dei Padri e dei Dottori della Chiesa si aggiunse, fin dai primi secoli, quella, costante, di tutti i concili, dei Papi e del Diritto Canonico. Fin dal 305, il Concilio di Elvira in Spagna dispose, al canone 71, che agli “stupratori di ragazzi” venisse negata la santa comunione anche se in punto di morte (cfr. Canones Aspostolorum et Conciliorum, pars altera, p. 11). Le pene canoniche di penitenza vennero poi stabilite nel 314 dal Concilio di Ancyra, al canone 16. Il XVI Concilio di Toledo, tenutosi nel 693, al canone 3 condannò la pratica omosessuale come un vero e proprio crimine punibile con sanzioni giuridiche: il reo se chierico, veniva ridotto allo stato laicale e condannato all’esilio perpetuo, mentre se laico, veniva scomunicato e, dopo aver subito la pena delle verghe, veniva anch’esso esiliato (Conciliorum, oecumenicorum collectio, vol. XII, col. 71). Successivamente nel Concilio di Neplusa, tenutosi in Terrasanta nel 1120, vennero stabilita minuziose pene per i colpevoli di crimini contro natura, dalle più miti fino al rogo per i recidivi (cfr. Conciliorum oecumenicorum collectio, vol. XII, col. 264).
Più autorevole ancora fu il pronunciamento del Concilio Ecumenico Lateranense III, tenutosi nel 1179, il quale, al canone 11, stabilì che: “chiunque venga sorpreso a commettere quel peccato che è contro natura e a causa del quale “la collera di Dio piombò sui figli della disobbedienza (Ef. 5,6), se è chierico, venga decaduto dal suo stato e venga rinchiuso in un monastero a far penitenza; se è laico, venga scomunicato e rigorosamente tenuto lontano dalla comunità dei fedeli”.(Conciliorum oecumenicorum collectio, vol. XXII, coll. 224 ss.). Se lo spirito dell’Umanesimo e del Rinascimento aveva risuscitato le pratiche omosessuali, la riforma della Chiesa promossa dal Papato nel secolo XVI (più nota come Controriforma cattolica) provocò una tale riscossa delle virtù di fede e di purezza da risanare quasi dovunque gli ambienti, sia ecclesiastici che laici, che ne erano stati pervasi. Fra gli interventi del Magistero ecclesiastico al riguardo, il più solenne è quello di san Pio V . Antonio Michele Ghislieri, nato a Bosco Marengo, Alessandria nel 1504 e morto da papa a Roma con il nome di Pio V nel 1572, entrato nell’Ordine domenicano, fu consacrato sacerdote nel 1528; insegnò teologia a Genova e a Pavia e fu inquisitore per la Lombardia prima, e poi (1551) commissario generale dell’Inquisizione romana. Paolo IV nel 1556 lo elesse vescovo di Sutri e Nepi, e lo innalzò alla porpora cardinalizia nel 1557; l’anno dopo fu nominato “grande inquisitore”. Fu poi mandato vescovo a Mondovì (1560), di dove si allontanò per dissensi con Emanuele Filiberto (1562). Alla morte di Pio IV, fu eletto inaspettatamente papa, con l’appoggio di S. Carlo Borromeo. Pontefice, mantenne l’austerità del religioso rigido verso sè stesso e usò con gli altri la stessa severità. Appena entrato nel palazzo vaticano, ridusse la sua corte, nominò una commissione di cardinali (Borromeo, Savelli, Alciari e Sirleto) per vigilare sulla cultura e i costumi del clero secolare di Roma, inviò visitatori apostolici nelle varie diocesi, liberò gli uffici amministrativi di tutto il personale inutile, intervenne personalmente alle sessioni del tribunale dell’Inquisizione.
Tutto teso all’attuazione dei decreti tridentini, Pio V combatté la simonia, richiese sicure prove di pietà, zelo e moralità per chi dovesse venir eletto vescovo o cardinale, richiamò all’obbligo di residenza (rispettivamente nella propria diocesi o parroccia) vescovi e parroci. Inoltre bandì il nepotismo: solo per l’insistenza dei cardinali, che credevano opportuno un nipote nel Collegio dei principi della chiesa, come mediatore tra il papa e i poteri politici, si indusse a dare la porpora al nipote Michele Bonelli, limitandogli le mansioni, e imponendogli un tono di vita modestissimo. Emanò ordinanze severissime per migliorare la moralità del popolo, impose un limite al lusso e alle spese che si facevano in occasione di feste: in questo quadro di riforme limitò severamente le ottave (cioè quei periodi festivi di 8 giorni che seguono le ricorrenze liturgiche maggiori). In attuazione dell’incipiente riforma di tutta la vita religiosa, nel 1556 fu pubblicato il Catechismus ad parochs, compilato sotto la direzione del cardinale Carlo Borromeo e redatto in latino da Aldo Manuzio; nel 1568 usciva il nuovo Missale Romanum; venne riorganizzato il tribunale dell’Inquisizione e fu intrapresa una vera campagna contro l’eresia (Pietro Carnesecchi, già protonotario apostolico, e Aonio Paleario vennero giustiziati); fu creata la Congregazione dell’Indice (1571); furono fondati seminari e nuovi Ordini religiosi, mentre fu soppresso l’Ordine degli umiliati, che avversava le riforme del cardinale Borromeo in Lombardia. Nel 1570 venne scomunicata la regina Elisabetta d’Inghilterra, nel tentativo di elevare al trono inglese la cattolica Maria Stuart; fu inviato in Germania Gian Francesco Commendone a tutelare e dirigere i cattolici perché l’imperatore Massimiliano II pareva debole di fronte ai protestanti. Intransigente nei confronti del protestantesimo, Pio V mandò milizie proprie a combattere gli ugonotti in Francia, ove favorì la fazione dei Guisa; fu sostenitore del duca d’Alba e non osteggiò i suoi massacri perpetuati a danno delle popolazioni dei Paesi Bassi. Fu severo con gli ebrei, permettendo loro di stare solamente nella città di Roma e in apposito quartiere con particolari leggi, escluso ogni altro luogo dello Stato pontificio. Aperse strade, costruì acquedotti; migliorò le fortezze di difesa e aumentò, con una cauta amministrazione, l’erario.
Nei rapporti internazionali Pio V seguì un programma di rigorosa difesa dei diritti giurisdizionali della chiesa. Inoltre s’era proposto di costituire una nuova lega di principi cristiani contro i turchi, per stornare la loro minaccia contro il mondo cristiano, tanto più dopo la presa di Famagosta e l’eroica morte del suo difensore, il veneziano Marc’Antonio Bragadin (1571). Filippo II, Venezia, la Toscana, l’Ordine di Malta e alcuni principi italiani, dopo aver vinto parecchie diffidenze, aderirono alla Lega, che il 7-x-1571 riportava la grande vittoria navale di Lepanto, per la quale i turchi vennero esclusi per sempre dal Mediterraneo occidentale. Il papa non cessò di occuparsi per trovare alleati contro i turchi, ma poco dopo moriva. Nel 1672 Clemente X lo beatificò e nel 1712 fu canonizzato da Clemente XI.
San Pio V, il grande Papa domenicano, in due Costituzioni condannò solennemente e proibì severamente il peccato contro natura ovvero l’omosessualità. “Avendo noi rivolto il nostro animo a rimuovere tutto quanto può offendere in qualche modo la divina maestà, abbiamo stabilito di punire innanzitutto e senza indugi quelle cose che, sia con l’autorità delle Sacre Scritture che con gravissimi esempi, risultano essere spiacenti a Dio più di ogni altro e che lo spingono all’ira: ossia la trascuratezza del culto divino, la rovinosa simonia, il crimine della bestemmia e l’esecrabile vizio libidinoso contro natura; colpe per le quali i popoli e le nazioni vengono flagellati da Dio, a giusta condanna, con sciagure, guerre, fame e pestilenze. (…) Sappiano i magistrati che, se anche dopo questa nostra Costituzione saranno negligenti nel punire questi delitti, ne saranno colpevoli al cospetto del giudizio divino, e incorreranno anche nella nostra indignazione. (…) Se qualcuno compirà quel nefando crimine contro natura, per colpa del quale l’ira divina piombò su figli dell’iniquità, verrà consegnato per punizione al braccio secolare, e se chierico, verrà sottoposto ad analoga pena dopo essere stato privato di ogni grado”. (San Pio V, Costituzione Cum primun, del 1° aprile 1566, in Bullarium Romanum, t. IV, c. II, pp. 284-286). E ancora: “Quell’orrendo crimine, per colpa del quale le città corrotte e oscene (di Sodoma e Gomorra, ) vennero bruciate dalla divina condanna, marchia di acerbissimo dolore e scuote fortemente il nostro animo, spingendoci a reprimere tale crimine col massimo zelo possibile. A buon diritto il Concilio Lateranense V (1512-1517) stabilisce che qualunque membro del clero, che sia stato sorpreso in quel vizio contro natura per via del quale l’ira divina cadde sui figli dell’empietà venga allontanato dall’ordine clericale, oppure venga costretto a far penitenza in un monastero (c. 4, X, V, 31). Affinché il contagio di un così grave flagello un progredisca con maggior audacia approfittandosi di quell’impunità che è il massimo incitamento al peccato e, per castigare più severamente i chierici colpevoli di questo nefasto crimine che non sono atterriti dalla morte dell’anima, abbiamo deciso che vengano atterriti dall’autorità secolare, vindice della legge civile. Pertanto, volendo proseguire con maggior vigore quanto abbiamo decretato fin dal principio del Nostro Pontificato (Costituzione Cum primum, cit.) stabiliamo che qualunque sacerdote o membro del clero sia secolare che regolare, di qualunque grado e dignità, che pratichi un così orribile crimine, in forza della presente legge venga privato di ogni privilegio clericale, di ogni incarico, dignità e beneficio ecclesiastico, e poi, una volta degradato dal Giudice ecclesiastico, venga subito consegnato all’autorità secolare, affinché lo destini a quel supplizio, previsto dalla legge come opportuna punizione, che colpisce i laici scivolati in questo abisso”. (San Pio V, Costituzione Horrendum illud scelus, del 30 agosto 1568, in Bullarium Romanum, t. IV, c. III, p. 33).
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