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mercoledì 26 febbraio 2014

SAN GIOVANNI CRISOSTOMO E L’OMOSESSUALITA’ COME PASSIONE DIABOLICA – di don Marcello Stanzione


San Giovanni Crisostomo, che la Chiesa festeggia il 13 settembre, nacque in Antiochia nel 350 e morì a Comana il 14 settembre 407, fu vescovo della capitale imperiale di Costantinopoli, Primate della Chiesa d’Oriente, ed era un uomo dall’integrità morale assoluta. Integerrimo, dotto, brillante, le sue capacità oratorie lo hanno reso il più perfetto ed elegante fra i Padri Greci. Giovanni Crisostomo è passato alla storia come l’uomo della Bocca d’oro, l’appellativo che i Bizantini gli hanno attribuito tre secoli dopo la sua morte. Votato alla vita spirituale sin dall’infanzia, trascorsa insieme alla madre Antusa ad Antiochia, in Siria, Giovanni si lasciò sedurre dalla vita eremitica: trascorse sei anni nel deserto, di cui due all’interno di una caverna che gli provocò una malattia allo stomaco, ma la sua indole lo chiamò presto verso compiti più alti.


La sua anima reclamava giustizia verso la parola di Dio che rischiava di essere avvelenata dalle eresie dilaganti, dalla bassezza dei costumi, dalle ipocrisie della corte. Per cinque anni si dedicò alla preparazione del sacerdozio e del ministero della predicazione, fino a quando il Vescovo Fabiano lo ordinò sacerdote. E’ a partire da questo momento che le sue doti oratorie hanno modo di mostrarsi. Giovanni si dedica costantemente alla predicazione, ma oltre a diffondere la parola di Cristo, il suo scopo è anche quello di difendere la moralità, rivolgersi ai fedeli per rafforzare il loro credo, allontanarsi dalle tante insidie del quotidiano. La sua fama si diffonde. I suoi sermoni sono lunghi (quasi due ore), complessi, appassionati, incantano gli ascoltatori e li obbligano a pensare. Nel 398, il Patriarca di Costantinopoli, Nettario, muore: Giovanni è chiamato a sostituirlo. La più alta carica ecclesiastica del tempo veniva conferita a un uomo che aveva cominciato ad avvicinarsi a Dio nel silenzio del deserto. Come guida e maestro di tutti i cristiani d’Oriente, la voce d’oro di Giovanni acquistò una risonanza anche maggiore: teologia, morale, politica, arte. Parole ardenti che tuonavano contro i vizi della corte e della Chiesa.

Cominciarono le reazioni, non sempre positive. La perplessità può sfociare nell’invidia e da lì arrivare al rancore. Lavorando in segreto, un concilio sedizioso noto come Sinodo della Quercia, formato dai vescovi al seguito di Teofilo di Alessandria, riuscì a farlo deporre. L’imperatrice Eudossia, più volte censurata da Giovanni, dette l’aiuto decisivo e, nell’incontro di Calcedonia del 403, Giovanni fu condannato all’esilio. Subito dopo, Costantinopoli venne colpita da un terremoto. Coincidenza? Presagio di più funeste sventure? Fatto sta che il popolo reclamò a gran voce il ritorno del Patriarca e Eudossia non poté impedirlo. Ancora due mesi e una legione di soldati barbari fece prigioniero Giovanni, costringendolo nuovamente ad allontanarsi. Questa volta per sempre. La destinazione era il Mar Nero, ma il Santo non riuscì mai ad arrivarvi, perché si ammalò e morì durante il viaggio. Il pensiero di Giovanni Crisostomo non era molto diverso da quello dei suoi predecessori: non si distaccava dall’ortodossia e le sue omelie riflettevano, anche se in maniera più elevata, tutti i nuclei centrali della morale cristiana. Grande ammiratore di San Paolo, fu lui a dettare i commenti più profondi che ci siano pervenuti sulle Lettere dell’Apostolo, oggi ancora ammirati e utilizzati dagli esegeti. Tra le sue opere letterarie più importanti si possono citare “La genesi e l’Antico Testamento”, i “Commentari dei profeti e del Nuovo testamento”, i numerosi trattati sulla verginità e sul sacerdozio. Molte anche le opere nel sociale, come la costruzione di ospedali, l’evangelizzazione delle campagne, le processioni anti – ariane sotto il controllo della polizia imperiale.

Ma il contributo più importante rimane sempre quello legato alla predicazione: il tono solenne, perentorio delle sue parole lo identificano come accusatore impietoso, ma quelle parole non volevano condannare: erano solo appassionate, animate dalla fede, capaci di raggiungere i cuori come dardi infuocati. Il figlio di Arcadio, Teodosio il Giovane, fece trasferire i resti mortali del Santo dal sepolcro di Comana, luogo del suo esilio a Costantinopoli, il 27 Gennaio del 438, restituendo alla capitale d’Oriente la guida che sino ad allora aveva illuminato il suo cammino spirituale. Il Padre della Chiesa che condannò con maggior frequenza l’abuso sessuale contro natura, ovvero l’omosessualità, fu proprio san Giovanni Crisostomo. Di questo grandissimo Dottore della Chiesa, riporto i passi di un’omelia di commento all’epistola di san Paolo ai Romani: “Le passioni sono tutte disonorevoli, perché l’anima viene più danneggiata e degradata dai peccati di quanto il corpo lo venga dalle malattie; ma la peggiore fra tutte le passioni è la bramosia fra maschi. (…) I peccati contro natura sono più difficili e meno remunerativi, tanto che non si può nemmeno affermare che essi procurino piacere, perché il vero piacere è solo quello che si accorda con la natura. Ma quando Dio ha abbandonato qualcuno, tutto è invertito! Perciò non solo le loro (degli omosessuali, ) passioni sono sataniche, ma le loro vite sono diaboliche. (…) Perciò io ti dico che costoro sono anche peggiori degli omicidi, e che sarebbe meglio morire che vivere disonorati in questo modo. L’omicida separa solo l’anima all’interno del corpo. Qualsiasi peccato tu nomini, non ne nominerai nessuno che sia uguale a questo, e se quelli che lo patiscono si accorgessero veramente di quello che sta loro accadendo, preferirebbero morire mille volte piuttosto che sottrarvi. Non c’è nulla, assolutamente nulla di più folle o dannoso di questa perversità”. (San Giovanni Crisostomo, Homilia IV in Epistula Pauli ad Romanos; cfr. Patrologia Graeca, vol. 47, coll. 360-62).

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