Pagine

venerdì 23 agosto 2024

Il Concilio Vaticano II e la crisi della concezione tradizionale della scuola cattolica




di Matteo D’Amico
Premessa
Nella grande traversata nel deserto che è diventato il post-Concilio non c’è un solo aspetto della vita della Chiesa che non sia entrato in una crisi profonda e sempre più grave.
La cattolicità infatti - intendendo con tale termine la vita concreta del Corpo Mistico di Cristo, che si distende nel tempo e nello spazio - è un tutto, un insieme di parti che si devono comporre armoniosamente fra loro, e dove ogni elemento è in una relazione strettissima e profonda con tutti gli altri.
Ciò che regge e fonda questo organismo unitario è la fede, l’adesione alla stessa dottrina, allo stesso insegnamento, alla stessa Tradizione e la sottomissione al papa nel suo ruolo di autorità che ha il compito di confermare nella fede i credenti dell’unica vera Chiesa fondata da Gesù Cristo, la Chiesa cattolica; ciò che lo anima è la carità soprannaturale, l’amore di Dio e l’amore dei fratelli per amore di Dio.
È in virtù di questa profonda unità, organica e originaria, che la sofferenza di una parte della Chiesa, diventa sofferenza, ammaloramento di ogni altra parte.



Se il clero soffre ed è sempre meno preparato, se la liturgia è sempre meno capace di elevare il cuore e la mente a Dio, se i vescovi non vigilano e gli ordini religiosi diventano tiepidi nell’osservare la loro regola, non possono non soffrire il matrimonio cristiano, la famiglia, la gioventù, la teologia, la cultura.
Dunque nel contesto della gravissima e universale crisi nella Chiesa cattolica odierna, anche la scuola cattolica, o di ispirazione cristiana, è entrata in una profonda crisi, che si aggrava di anno in anno e che non sta né prevalentemente, né innanzitutto nei numeri, ovvero nel calo delle scuole cattoliche e degli alunni ad esse iscritti.
La crisi sta piuttosto nello spirito che anima queste scuole e nella perdita della consapevolezza, da parte del clero e dei fedeli, di quella che sarebbe la loro vitale necessità.Fino a che la Chiesa ha avuto la forza e il coraggio di combattere a viso aperto e frontalmente il mondo moderno e il suo spirito profondamente anticristiano, le scuole cattoliche fiorivano; dal Vaticano II in poi è iniziato un loro declino profondissimo.
Questa crisi - che è in realtà più esatto definire una catastrofe - dipende in ultima istanza dalla distorsione modernista del dogma, dal totale oscuramento dell’escatologia cristiana, dalla pratica cancellazione del problema della santificazione e della salvezza dell’anima come dei problemi fondamentali della vita cristiana. Infatti, se l’inferno è vuoto o non c’è, se la salvezza è collettiva, se il giudizio universale diviene poco più di una metafora. Vale dunque anche in questo caso il principio della circolarità ermeneutica fra parte e tutto: la crisi della scuola cattolica illumina la crisi nella Chiesa dopo il Vaticano II, e, viceversa, la crisi nella Chiesa illumina la crisi della scuola cattolica. Le due crisi vanno insieme, dipendono l’una dall’altra e non potranno che risolversi insieme, quando Dio lo vorrà.
Il problema della scuola nel Concilio Vaticano II La crisi odierna della scuola cattolica è gravissima ed è strettamente legata alla più ampia e generale crisi nella Chiesa cattolica; ha un insieme di cause convergenti, ma non dello stesso peso e non poste sullo stesso piano di significatività. Certamente è troppo semplice limitarsi a osservare che il crollo delle vocazioni, la fuoriuscita dalla Chiesa di decine di migliaia di sacerdoti e di suore, il declino pauroso, quando non la pratica scomparsa, di decine e decine di gloriosi ordini religiosi, hanno messo inevitabilmente in crisi anche la scuola cattolica.
È ovvio infatti che l’invecchiamento e la riduzione catastrofica del clero ha inciso sul bilancio delle scuole cattoliche, obbligate ad assumere sempre più personale laico, e ha reso più costoso e sempre più sperequativo, rispetto alla gratuità della scuola pubblica, l’accesso alla scuola cattolica. Ma questa spiegazione non raggiunge il fondo del problema, perché resterebbe da spiegare il perché il clero è entrato in una crisi così profonda e, si potrebbe dire, senza precedenti. Ciò che si nota, infatti, è che non è calato solo il numero dei sacerdoti e dei consacrati, ma che è in generale crollato e pressoché scomparso dal magistero o di un racconto edificante, ma fantasioso. Il tema della scuola cattolica: se prima del Concilio i vescovi e i papi esortavano con la massima severità i genitori a negare i loro figli alle scuole laiche di stato, invano cercheremmo qualcosa di simile negli atti dei papi successivi all’ultimo Concilio; anzi, lentamente l’episcopato lascia che passi - o addirittura alimenta lui stesso - l’idea che non vi è nulla di male nelle scuole pubbliche e riduce la battaglia, ad esempio in Italia, a difendere l’ora di insegnamento della religione cattolica. Come su molti altri temi, siamo di fronte a un’inversione per diametrum rispetto a quanto si insegnava fino al Concilio. Se il pastore non vigila più, non mette in guardia dai pericoli, non ingaggia una battaglia continua e radicale con il mondo e il suo spirito, è inevitabile che il mondo vinca, che lentamente distrugga fino alle fondamenta la tradizione della Chiesa e che il gregge, abbandonato a se stesso, finisca disperso in breve tempo. Analizziamo ora brevemente il documento conciliare fondamentale su questo tema, la Dichiarazione sull’educazione cristiana Gravissimum Educationis del 28 ottobre 1965.
Dopo un lungo prologo in cui si esalta il progresso scientifico ed economico-sociale con la consueta esagerazione propria di quasi tutti i testi conciliari (che cosa dire di una frase incredibilmente ottimistica e ingenua come questa: «Gli uomini, avendo una più matura coscienza della loro dignità e della loro responsabilità, desiderano partecipare sempre più attivamente alla vita sociale, specie in campo economico e politico»?1) inizia rovesciando un insegnamento costante di tutto il magistero precedente in una materia delicatissima: «Debbono anche ricevere (i giovani, n.d.r.), man mano che cresce la loro età una positiva e prudente educazione sessuale»2.
Per comprendere la violenza del cambiamento avvenuto, si consideri cosa scriveva, solo 35 anni prima, Pio XI sullo stesso tema: «Assai diffuso è l’errore di coloro che, con pericolosa pretensione e con brutta parola, promuovono una cosiddetta educazione sessuale, falsamente stimando di poter premunire i giovani contro i pericoli del senso con mezzi puramente naturali, quale una temeraria iniziazione ed istruzione preventiva per tutti indistintamente, e anche pubblicamente, e peggio ancora, con l’esporli per tempo alle occasioni, per assuefarli, come essi dicono, e quasi indurirne l’animo contro quei pericoli»3.
Si noti come non siamo di fronte a un lieve cambiamento, ma a un rovesciamento completo della prospettiva: si stenta a credere che a parlare sia la stessa istituzione, legata alla stessa fede, tanto è evidente il nauseante naturalismo sgorgante dalla dichiarazione conciliare. Nel testo conciliare si trovano, in realtà, anche molte cose buone, che ribadiscono la concezione tradizionale del problema della scuola da parte della Chiesa: così viene condannato ogni monopolio scolastico da parte dello Stato; si sottolinea l’importanza di una vera sussidiarietà, onde lo Stato deve intervenire solo dove le famiglie e le comunità non riescono da sole a far nascere scuole; si sottolinea che i genitori «debbono godere di una reale libertà nella scelta della scuola»4.
Infine il Concilio, e si può dire che sia l’ultima volta che ciò viene fatto con tanta forza dalla Chiesa docente prima del grande silenzio post-conciliare: «Ai genitori cattolici ricorda poi l’obbligo di affidare, secondo le concrete circostanze di tempo e di luogo, i loro figli alle scuole cattoliche, di aiutarle secondo le loro possibilità e di collaborare con esse per il bene dei loro figli»5.
Nonostante questi indubbi punti di forza, da valorizzare sì, ma senza mai dimenticare che l’essenza del modernismo consiste proprio nel miscelare insieme verità ed errore, dando vita a un soffocante reticolo di mezze-verità snervate e inefficaci, vi sono però altri elementi decisamente critici, consistenti tutti, fondamentalmente, in un indebolimento del tono e della decisione con cui viene proposta la dottrina, e nell’assenza della condanna più ferma e più decisa dell’errore e del male. In sintesi, ciò che è vero è detto con molta minore forza, ciò che è falso o è male non viene più condannato siamo un esempio del primo fenomeno (snervamento della verità): abbiamo visto con quanta fermezza Divini Illius Magistri attacchi la coeducazione, concludendo il passo in cui la condanna con queste parole: «Ricordando le tremende parole del Divino Maestro: “Guai al mondo per causa degli scandali!” (Mt. 18, 7), stimoliamo vivamente la vostra sollecitudine e vigilanza, Venerabili Fratelli, su questi perniciosissimi errori (l’educazione in comune di ragazzi e ragazze, n.d.r.), che troppo largamente vanno diffondendosi tra il popolo cristiano con immenso danno della gioventù»6. La condanna è ferma, netta, vigorosa, inequivocabile: è impossibile equivocare e possiamo dire di essere di fronte al linguaggio della Chiesa, subito riconoscibile. È il linguaggio del pastore buono e vigilante che ama il gregge a lui affidato e non ha paura di apparire severo quando è in gioco il suo bene e la sua vita.
Si confronti il passo appena citato con l’analogo passo di Gravissimum Educationis che tocca lo stesso tema: «(gli insegnanti, n.d.r.) collaborino anzitutto con i genitori; insieme con essi tengano debito conto, in tutto il ciclo educativo, della differenza di sesso e del fine particolare che all’uno e all’altro sesso la divina provvidenza ha stabilito nella famiglia e nella società»7.
Apparentemente viene ribadito lo stesso concetto, ma di fatto la verità è oscurata dalla mancanza di una condanna ferma dell’errore opposto. Pio XI ordinava formalmente che ragazzi e ragazze fossero educati separatamente, il Vaticano II dice solo che bisogna tenere «debito conto […] della differenza di sesso», frase che non significa affatto in modo immediato che occorre separare fisicamente a scuola maschi e femmine. La conseguenza è stata che, proprio a ridosso e a causa del Concilio, in tutte le scuole di ogni ordine e grado, sia laiche e di Stato che cattoliche, si sono imposte le classi miste (per non parlare poi di quello che è accaduto nello scoutismo e in ogni altro ambito sociale), con un crollo immediato, e di anno in anno più grave, dei costumi e un crescente diffondersi dell’immoralità. Sulla presenza di scuole miste 8, ove sono presenti studenti cattolici e studenti acattolici o non credenti, si è visto che Pio XI era assai fermo e severo, vietando ai fanciulli cattolici di frequentare scuole miste; invece i padri conciliari si limitano a scrivere: «S’intende che la Chiesa ha sommamente a cuore anche quelle scuole cattoliche le quali, specie nei territori di missione, son pure frequentate da alunni non cattolici»9; trattasi di frase, come si può notare, che in realtà non dice nulla, fuori di un generico e astratto sottolineare che anche queste scuole miste sono care alla Chiesa. Manca ogni avvertimento, ogni invito alla prudenza, ogni indicazione su come impostare e vigilare su queste scuole per evitare danni alla fede e alla vita di grazia dei fanciulli cattolici; tanto meno è ribadito il divieto alla loro frequenza. Dopo il Concilio Vaticano II La scuola, al pari di ogni altro ambito della vita sociale e della Chiesa (ordini religiosi, liturgia, sacerdozio, ruolo della donna, educazione, rapporto con gli acattolici, problema demografico, matrimonio, mezzi di comunicazione sociale, etc.) è affrontata come argomento alla luce del grande e tragico principio che, per usare le parole di Amerio, consiste nella «accomodazione della Chiesa allo spirito moderno», ovvero alla cultura e alla concezione dell’uomo emersa da cinque secoli di protestantesimo e dalle rivoluzioni illuministica, francese e bolscevica, frutto del pensiero moderno anticristiano, antiscolastico e antimetafisico. Ma coniugare dottrina cattolica e pensiero moderno è dimostrato dalla storia del post-concilio che significa condannare la prima al più infelice e sterile dei matrimoni e alla rovina sicura. Nel caso della scuola ciò è dimostrato dai più importanti documenti successivi al Gravissimum Educationis. Nel post-concilio tutti i temi classici della visione cristiana dell’educazione e della scuola vengono erosi e lentamente oscurati per opera spesso degli stessi ordinari, dei pontefici, dei teologi. Un importante documento della Congregazione per l’educazione cattolica (16 ottobre 1982) ammette una serie di principi propri della pedagogia laica e progressista, ma mai ammessi prima dalla Chiesa:- l’educazione è pensata come auto- educazione;- l’anima della didattica e della rela- zione fra discente e docente è posta nel “dialogo”; nascosto, o reso irrilevante, il pro- blema dell’autorità dell’insegnante (che è, in definitiva, il problema centrale di ogni prassi didattica). In generale è ammessa, e non più condannata, la scuola laica, di Stato, di fatto monopolista e totalitaria. La profonda analisi di Amerio dei problemi della scuola cattolica Nota il grande filosofo Romano Amerio a questo proposito: «Il vero si è il rifiuto che si fa della scuola cattolica (da parte delle stesse Autorità della Chiesa, n.d.r.) lungi dall’essere una semplice variante di filosofia politica è il corollario, avvertito o inavvertito, di persuasioni difformi dal pensiero cattolico. Si leva alla scuola cattolica la base propria e si mette la sua essenza fuori di sé, condizionandola al pluralismo e al nullismo culturale. […]. Ergo il cristianesimo, pur essendo un insegnamento divino, non sarebbe sufficiente per sé a dare allo spirito l’appagamento e il riposo nella verità; lo si deve tenere solo come un’opinione bisognosa di integrarsi alle altre per acquistare rilevanza assiologica. Di qui deriva la progrediente perdita di originalità della scuola cattolica che vien modellandosi di proposito sulla scuola statale nelle strutture, nella ratio studiorum, nella promiscuità, nel calendario e in tutto. E quanto alla cultura essa ha abbandonato in gran parte le concezioni peculiari del cattolicesimo circa i fatti della storia, adottando i punti di vista che furono propri degli avversari della Chiesa nel secolo passato»10. Ecco sintetizzato magistralmente il problema della crisi nella Chiesa “conciliare”, come suole essere chiamata: la rinuncia a vedere un nemico irriducibile della cristianità nel mondo laico delle rivoluzioni otto-novecentesche e nella cultura e filosofia scettiche, razionaliste, materialiste e idealiste dell’età moderna, ha portato la Chiesa a rinunciare a un’azione di vigilanza e di condanna verso l’educazione e la scuola laica di Stato, ed è sfociata nel pratico abbandono dell’idea stessa di “scuola cattolica”, non avendo questa più un senso autentico e rimanendo viva, dove lo è rimasta, per altri motivi, non aventi a che fare con il problema del formare cristianamente i fanciulli e di preservarli da un ambiente immorale o anticristiano. Questo crollo, prima ancora di comprensione storica e culturale della modernità, che non dottrinale, è alla radice di tutta la crisi nella Chiesa dopo il Concilio: tutto - vita consacrata, sacerdozio, liturgia, catechesi, matrimonio cristiano, vita di pietà - ha perso lentamente il suo senso originario e in questo crollo generale, dove i conf ini fra ortodossia e eresia sfumano fino a scomparire e il problema dei novissimi e della salvezza eterna delle anime è praticamente rimosso dalla catechesi e dalla teologia, non vi è più nessuno, evidentemente, che abbia continuato a credere nel significato di una scuola autenticamente cattolica e nettamente diversa dalla scuola laica di Stato. E nel crollo della scuola cattolica come apparato, destinato ormai a “nanificarsi” e a ridursi in pochi anni all’invisibilità, la cosa più grave non sta comunque nei numeri, nelle quantità sempre più ridotte di bambini e di giovani che frequentano scuole cattoliche, ma nel cedimento sul piano metodologico e culturale, in altre parole nella sua inefficacia o negatività formativa: «Il secondo errore della pedagogia neoterica è che l’insegnamento abbia per scopo diretto di produrre un’esperienza, che la via sia parimenti quella dell’esperienza e che la conoscenza astratta del vissuto sia, come dicono, puro nozionismo. Ora il f ine proprio e formale dell’insegnamento, non esclusa la catechesi, non è di produrre un’esperienza, ma una cognizione. Il discepolo vien tratto dal maestro a svolgere cognizione da cognizione mediante un processo dialettico di presentazione di idee. […] L’ascendenza modernistica di questa catechesi non può sfuggire a chi sa che il principio filosofico del modernismo era il sentimento che risolve in sé ogni valore e che primeggia sopra i valori teoretici riguardati come l’astratto di cui l’esperienza è il concreto»11. Il pensiero, la mens cattolica sulla scuola è quindi mutata e si trovano sempre meno cristiani, anche ferventi, che abbiano ancora le categorie per pensare rettamente il problema, in modo fedele e coerente rispetto alla grande tradizione della Chiesa. Non si trova in pratica nessun documento di vescovi o conferenze episcopali in Italia, ma allo stesso modo all’estero, che sollecitino l’apertura di scuole cattoliche; i giornali cattolici non ne parlano se non per dare voce alle consuete lamentele sulla mancanza o la riduzione del finanziamento pubblico alle scuole cattoliche o per rilanciare timidamente l’idea del bonus scuola, a suo tempo promosso dalla Regione Lombardia. Manca qualunque consapevolezza della necessità esistenziale per un fanciullo di frequentare una scuola autenticamente cattolica. Sul piano pedagogico e didattico poi gli uomini di Chiesa e gli intellettuali cattolici sono totalmente allineati alla visione laica e di Stato dei processi educativi e delle dinamiche dell’insegnamento e dell’apprendimento, non riuscendo più, salvo qualche rara eccezione, a svolgere un’azione critica consapevole e articolata: anche in questo campo, come in ogni altro, è venuta meno - o almeno è stata pesantemente oscurata - l’attitudine fondamentale della Chiesa a essere militante, a vigilare con lucidità e fermezza incoercibili sui pericoli per la fede e per il popolo di Dio, per i più piccoli e i più semplici in particolare. La scuola nel catechismo del 1992 Se si leggono attentamente i testi del magistero si ha conferma del fatto che ormai una sottile ambiguità è penetrata nel sentire cattolico; il paragrafo 2229 del Catechismo della Chiesa Cattolica è in tal senso esemplare: «Primi responsabili dell’educazione dei figli, i genitori hanno il diritto di scegliere per loro una scuola rispondente alle proprie convinzioni. È, questo, un diritto fondamentale. I genitori, nei limiti del possibile, hanno il dovere di scegliere le scuole che li possano aiutare nel migliore dei modi nel loro compito di educatori cristiani. I pubblici poteri hanno il dovere di garantire tale diritto dei genitori e di assicurare le condizioni concrete per poterlo esercitare» Si noti che non si dice che i genitori hanno l’obbligo di mandare i figli presso scuole cattoliche (come veniva prescritto da Pio XI), ma solo l’obbligo di scegliere scuole «che li possano aiutare nel migliore dei modi nel loro compito di educatori cristiani». La differenza è gravissima perché il testo appena citato lascia capire che anche una scuola non cattolica, purché genericamente ritenuta adatta, ancorché laica o non cattolica, ad aiutare i genitori nel loro compito educativo, può essere scelta. problemi delle scuole cattoliche oggi Per avviarci ora alla conclusione, prima di dare un rapido sguardo ad alcuni dati numerici sull’evoluzione delle scuole cattoliche, del loro numero e del numero degli utenti, facciamo alcune considerazioni sulle scuole paritarie cattoliche attuali. A tutto il discorso da noi fatto finora qualcuno potrebbe obiettare che in fondo, comunque, esistono le scuole paritarie cattoliche, elementari, medie e superiori; il loro numero non è grande e sono in continuo calo, non sono presenti in tutte le province d’Italia ma, organizzandosi si potrebbero sfruttare come punto di forza per rispettare i grandi principi messi in luce dall’enciclica di Pio XI. Occorre però fare, purtroppo, alcune osservazioni, pur consapevoli di diverse eccezioni positive che pur permangono. In primo luogo spesso nelle paritarie cattoliche gli insegnanti non sono tutti cattolici o non sono praticanti, e non di rado manifestano idee molto di sinistra; spesso hanno una visione della storia della Chiesa e della dottrina di taglio decisamente modernista. Nella larga maggioranza delle scuole cattoliche di ogni ordine e grado, con pochissime eccezioni, vige il principio della coeducazione, sempre condannato dalla Chiesa, con ragazzi e ragazze uniti nella stessa classe anche a livello di scuole medie inferiori e superiori. L’elemento più grave: molte, se non tutte, le scuole paritarie cattoliche di fatto accettano come loro studenti allievi delle più diverse provenienze e mossi dalle motivazioni più diverse: accanto ai rari casi di studenti i cui genitori li iscrivono ad una scuola cattolica all’interno di una precisa e consapevole strategia educativa, ovvero in quanto sperano di custodire così meglio i costumi e la fede dei loro figli, vi è una larghissima maggioranza di studenti che le frequentano per i più svariati motivi, ad eccezione però di quello dell’ispirazione religiosa della scuola: si va da chi le sceglie perché le ritiene più facili, a chi iscrive i figli perché bocciati in una scuola pubblica (da qui a volte sorge la cattiva fama di queste scuole, come rifugio di comodo per chi ha fallito nella scuola pubblica), ai genitori che le scelgono perché hanno orari più flessibili o più comodi, a chi le preferisce perché c’è la mensa, a chi infine vi manda i figli perché è la scuola più vicina a casa. La conseguenza gravissima è che a volte, ad esempio, sono una risicatissima minoranza gli studenti che in una classe frequentano la S. Messa tutte le domeniche o frequentano abitualmente il sacramento della confessione. Gravi le conseguenze sul clima interno alla scuola, che spesso in nulla si differenzia da quello di una normale scuola pubblica. Il quadro descritto ha questo di ancor più grave, ovvero che, proprio perché la scuola si fregia del titolo di cattolica, le cattive compagnie e il clima interno avvelenato diventano scandalosi, nel senso evangelico di “spingere al peccato”, proprio per i cattolici di buona volontà, che cercavano invece alimento per la loro vita spirituale. Ciò, fra l’altro, perché se un genitore può mettere in guardia il figlio che frequenta una scuola pubblica, perché è naturale aspettarsi da essa dei pericoli o un clima e dei valori in contrasto con la fede, è molto più complesso il caso in cui il figlio è inviato in una scuola cattolica proprio per motivi di fede: diventa imbarazzante e, in un certo senso, scandaloso dover ammonire il figlio in questo secondo caso. In generale in queste scuole non si respira sempre un clima di sana battaglia contro i valori mondani e gli errori della modernità (pedagogici, filosofici, morali, culturali, ideologici, estetici) ma, coerentemente allo spirito di autodemolizione della Chiesa (per usare le parole di Paolo VI) che caratterizza il post-concilio, si percepisce una piena accettazione della cultura moderna anticristiana (ad esempio in queste scuole non è raro vedere esaltati l’illuminismo, la Rivoluzione francese, la distruzione dello Stato pontificio a opera dei Savoia, etc.). E proprio per l’insieme di questi motivi, la presenza di queste scuole è sempre meno compresa nel suo significato proprio anche dai fedeli cattolici più ferventi e sinceri. Un problema nel problema è infine rappresentato dal fatto che insegnanti ed educatori religiosi rappresentano ormai una risicata minoranza, una percentuale infima del corpo docente, togliendo alle scuole cattoliche quella che era sempre stata una loro gloria, ovvero la presenza di straordinari ordini di insegnanti consacrati alla missione educativa13. Questo non è un particolare da poco, in quanto, innanzitutto le scuole femminili avevano rigorosamente insegnanti appartenenti a ordini femminili e le scuole maschili avevano come insegnanti solo consacrati appartenenti a ordini maschili. La crisi drammatica di questi ordini, che nel caso migliore hanno qualche anziano religioso o religiosa che svolge le funzioni di direttore didattico, ma sono praticamente in estinzione, è grave perché essi, carichi di una tradizione e di una sapienza pedagogica spesso secolare, erano portatori di un metodo specifico, irripetibile per sensibilità e sottigliezza di strumenti dispiegati. Non si trattava solo di insegnanti, ma di religiosi e religiose che vivevano una comune spiritualità, che pregavano insieme, che avevano una vita di comunità e una crescita umana e religiosa modellata sugli stessi principi, fondata sul carisma del santo fondatore dell’ordine. Era uno spettacolo unico considerare la varietà e la ricchezza dei carismi sorti nel campo dell’insegnamento. Non si può nemmeno paragonare l’efficacia umana, formativa, culturale e spirituale che si sprigiona da una scuola (e ancor più da un collegio) retta da un ordine insegnante di grande tradizione, rispetto all’efficacia di una scuola pur cattolica, ma dove l’insegnamento è impartito da laici che hanno una loro vita familiare, che non sono formati omogeneamente, che ricevono uno stipendio per l’attività di nsegnamento che svolgono, che non condividono la stessa spiritualità e la stessa vita di preghiera: per quanto grande sia la loro buona volontà individuale una scuola cattolica di laici non avrà mai la forza formativa di una scuola o un collegio dove il corpo docente è di consacrati. Già laici ferventi e profondamente motivati non potrebbero eguagliare l’efficacia e la profondità di un corpo insegnante di consacrati, ma si pensi al fatto che oggi spesso la disomogeneità di attitudini e di comportamento fra gli insegnanti di una scuola cattolica può raggiungere il parossismo: si va dall’insegnante che convive more uxorio, a quello che non è praticante, dalla persona di buona volontà che fa dire una preghiera all’inizio delle lezioni, a quella che ostentatamente non prega con gli studenti. Inevitabile che questa diversità di comportamenti si rifranga su ogni altro aspetto della vita in classe, dalla disciplina allo stile relazionale con gli studenti, al taglio interpretativo dato ai diversi nodi scientifici e culturali che inevitabilmente vanno affrontati. Questa forte differenza fra i singoli insegnanti, differenza che a volte è vera e propria divisione o disaccordo, non può non generare una incoerenza educativa anche grave e riverberarsi negativamente sugli studenti, perché nulla ferisce un educando come il vedere un conflitto, anche solo implicito, fra coloro che incarnano l’autorità. Qualche numero Se limitiamo il nostro sguardo all’Italia possiamo osservare come nel 1867, al momento della soppressione degli ordini religiosi, le scuole cattoliche assorbivano il 7% degli studenti delle scuole primarie e il 22 % degli studenti delle scuole secondarie. Come si nota sono già numeri molto contenuti, che si spiegano in parte con le distruzioni operate dalla Rivoluzione francese prima e dal dominio napoleonico poi, per non parlare delle leggi Siccardi piemontesi che avevano cacciato dal regno di Sardegna tutti gli ordini religiosi. Settant’anni di persecuzioni anticattoliche in Italia, come in Europa avevano lasciato cicatrici molto profonde. Al momento dell’unità d’Italia, comunque, vi era ancora una presenza di scuole, collegi e convitti abbastanza nutrita e così suddivisa: gli Scolopi (68 istituti), i Barnabiti (16), i Fratelli delle Scuole cristiane (15), i Somaschi (13), i Missionari (12), i Francescani (11), per un totale di 135 istituti maschili. Gli istituti femminili alla stessa data erano così suddivisi: le Suore e Figlie della Carità (199 istituti), le Collegine ( 95), le Figlie di san Giuseppe (41), le Suore della Misericordia (39), le Benedettine (38), per un totale di 412 istituti femminili14. Si badi che parliamo per lo più di convitti e collegi che arrivavano a contare spesso centinaia di studenti. Il numero di queste scuole e collegi era tale da permettere di trovarne diversi per ognuna delle più importanti città italiane: in pratica qualunque famiglia fervente avesse desiderato un buon collegio retto da un ordine religioso per i suoi figli, lo avrebbe potuto trovare. Spostandoci nel Novecento è interessante osservare che una cesura molto forte, dopo quella rappresentata dall’unità d’Italia, è rappresentata dalla Seconda Guerra Mondiale. Dalla sconfitta del 1945 e dalla successiva occupazione americana e ricostruzione post-bellica, sortisce come effetto minore, ma non proprio secondario, un netto crollo delle scuole cattoliche. Nell’anno scolastico 1947-48 le scuole attoliche rappresentano il 42,7 % delle elementari, il 15,2 % delle medie, il 13,6 % delle superiori; nell’anno scolastico 195859 si è passati al 26,1 % delle elementari (-16,6), al 10 % delle medie (-5,2), al 10, 7% delle superiori (-2,9). Storia È un crollo che si spiega sia con il forte passaggio dal mondo agricolo, all’urbanizzazione e all’alfabetizzazione di massa, con la costruzione di migliaia di scuole statali che in nessun modo, anche solo f inanziariamente, avrebbero potuto essere costruite dalla Chiesa; sia con il fatto che è iniziata quell’età della storia della Chiesa del Novecento che da alcuni è stata chiamata “cinquantismo”, termine con il quale si vuole designare una certa stanchezza e abitudinarietà, tiepidezza e mancanza di fervore che si erano, almeno in parte, impadroniti della popolazione. La Democrazia Cristiana (partito di fatto, come noto, di forte ispirazione modernistica) al potere, il ruolo del Partito Comunista e la sua lenta, ma inesorabile occupazione della cultura, dell’università e della scuola in Italia (processo che esploderà, naturalmente, dopo il Sessantotto), il crollo della monarchia e l’imporsi di un regime parlamentare di chiara ispirazione liberale, gli articoli della costituzione sulla scuola, di fatto nemici della sussidiarietà, dei diritti dei genitori e della scuola cattolica: sono tutti fattori che fanno sì che inizi un arretramento delle scuole cattoliche italiane drammatico e inarrestabile. L’arretramento si può però spiegare anche, paradossalmente, con il fatto che il corpo docente della scuola di Stato, e la società nel suo complesso, sono ancora profondamente legate alla fede e alla Chiesa con un indice di frequenza alla Messa domenicale che è mediamente superiore al 70 % della popolazione. La Chiesa stessa 28 è saldamente governata da Pio XII ed è uscita a suo modo rafforzata dalla terribile prova della Seconda Guerra mondiale, rappresentando sicuramente la più grande autorità morale a livello mondiale, soprattutto per le grandi opere di carità dispiegate in tutto il mondo a favore di vinti e vincitori, di perseguitati e prigionieri, di feriti e orfani. In un contesto così, ovvero non ancora violentemente laicizzato e secolarizzato, e dove poteva essere percepito come spento o fortemente indebolito lo slancio anticattolico della Massoneria e delle sette (non dimentichiamo i 20 anni di sonno delle logge durante il fascismo) si comprende come si fosse attenuata la consapevolezza della vitale necessità di avere scuole cattoliche e di inviarvi tutti i giovani. E comunque va ricordato che le scuole religiose che ancora operano sono centri vitalissimi di vera formazione umana e cristiana, semenzai straordinari di vocazioni sacerdotali e religiose, e, anche se minoritari in numeri assoluti, formano a tutti gli effetti una vera élite cattolica, di giovani motivati, preparati, convinti, dottrinalmente attrezzati e in grado di inserirsi nei quadri dirigenti della società e dell’industria anche ad altissimo livello. Si può anzi dire che la storia del boom economico italiano è in buona parte opera indiretta, ma preziosissima, anche di queste straordinarie fucine di studi che erano le scuole cattoliche. Conclusione Oggi, occorre ripeterlo, quello che spaventa non è il ridotto numero delle scuole cattoliche che ci sono (come negli anni Cinquanta del Novecento la percentuale di studenti che le frequentano si aggira attorno al 10 % del totale), ma la scarsa dentità cattolica della formazione e la qualità a volte davvero bassa della preparazione, l’inefficacia didattica. La crisi della scuola non può terminare - ed è anzi destinata ad aggravarsi - se non a partire dalla fine della crisi di fede, dottrinale e liturgica innescata dal Vaticano II e dalle riforme successive. L’amicizia e la stima verso il mondo moderno e la sua cultura anticristiana, che sono il cuore pulsante della “chiesa conciliare”, come viene chiamata da molti suoi esponenti, impedisce alla radice il darsi di una scuola cattolica degna di questo nome, ovvero militante, consapevole degli errori che dilagano nella modernità in ogni ambito, e innanzitutto in quello pedagogico, capace di forgiare una prassi didattica e un processo formativo saldamente incardinato sulla più piena ortodossia e su un rapporto vigoroso e profondo con le radici più profonde della cultura occidentale. Il neo-modernismo oggi dominante nel sentire dei fedeli e, purtroppo, di tanti uomini di Chiesa, si può del resto ridurre alla negazione della dannazione eterna per i reprobi. Se tutti gli uomini si salvano, perché Dio è pensato come amore infinito separato dalla giustizia e dalla verità (ecco il dogma segreto della “chiesa conciliare”, causa ed effetto, nello stesso tempo, del dialogo ecumenico e interreligioso) non solo diventa inutile farsi sacerdoti o religiosi, ma a maggior ragione diventa inutile aprire scuole cattoliche. Una scuola cattolica, in ultima istanza, ha senso solo se davvero credo che l’anima dei miei figli e la loro salvezza eterna siano la cosa più importante, l’unica così significativa da poter orientare tutti gli sforzi e tutta l’energia di una famiglia, di una comunità, di un ordine religioso, della Chiesa intera. Perché possa rinascere la scuola cattolica occorre insomma che tutta la Chiesa, in ogni sua componente, riscopra la dignità di veri figli di Dio a cui il battesimo ci innalza, la natura dei cristiani come del popolo santo di Dio, eletto e prezioso ai suoi occhi, destinato a dargli gloria in eterno e a vivere della sua stessa infinita beatitudine. Senza il timore e tremore, ma anche il fervore e la carità, che nascono solo dalla fede più ardente nel destino eterno della nostra anima - destino inesorabilmente di salvezza o di dannazione eterna - non rinascerà quindi nessuna vera scuola cattolica, ma continuerà, al più, a sopravvivere il suo evanescente e ingannevole fantasma.

Nessun commento:

Posta un commento