"di don Pasquino"
LO PROMETTO……
Penso che ogni sacerdote ricordi con profondo senso di gratitudine il giorno della sua ordinazione.
La
prima gratitudine va indirizzata a Dio, che lo ha scelto pur con tante povertà
e fragilità, ad essere suo ministro per
portare al popolo pellegrino il nutrimento della sua Parola, del Pane di vita
eterna e degli altri Sacramenti.
Gratitudine
va alla propria famiglia, che ha imparato a condividere con stupore e
trepidazione un dono così grande, fatto ad un suo membro.
Gratitudine
va anche alla Chiesa, che ha accolto questo ragazzo, ne ha curato la formazione
e lo ha preparato ad andare in tutto il mondo per predicare il Vangelo di Gesù
Cristo.
In
molti casi, le parrocchie di provenienza, i benefattori dei seminari, le
diocesi stesse, si fanno carico di completare ciò che manca al sostentamento di
questi ragazzi e giovani in preparazione.
Detto
in termini commerciali, si potrebbe affermare che si fa un investimento; solo
che l’obiettivo non è appunto materiale-commerciale, bensì umano, spirituale ed
evangelico.
Quindi,
da parte dell’interessato, dovrebbe esserci sempre gratitudine verso chi ti ha
garantito il latte umano e spirituale!
Purtroppo
non è sempre così; molti sacerdoti, quando raggiungono il loro obiettivo e cioè
una garanzia di autonomia, si permettono di mortificare con il loro stile di
vita, con le loro parole e con le loro apparizioni in TV quella Chiesa che li
ha accolti, formati e preparati.
Uso
il plurale, ma l’intelligenza di chi legge, può portarlo senza dubbio a dei
casi ben specifici.
Questi
preti, fanno anzitutto quello che piace a loro, ricattando i loro Vescovi se
non li assecondano nelle cose che gradiscono fare; si estraneano dai loro
confratelli che invece continuano a rimanere nel campo di battaglia, cioè nelle
parrocchie, che siano di periferia o meno.
Questi
preti che indossano jeans e scarpe firmate, dove ogni singolo indumento è di
marca e alla fine quando sono completamente vestiti valgono un patrimonio, si
permettono di criticare i loro confratelli che cercano di essere normali, o
vestendosi da preti, con quella tuta da lavoro che toglie ogni desiderio di
mondanità o semplicemente indossando abiti ordinari che comunque non traspaiono
ricercatezza o altro.
Questi
preti “fighi” che si presentano al Papa in questo modo, non fanno altro che
affermare il loro bisogno di apparire, perché se ci pensassero bene, si
renderebbero conto che non è normale comportarsi così e tutte le persone hanno
di che dire.
Neanche
nel contesto più sacro di una celebrazione penitenziale, come l’ultima Via
Crucis in Piazza San Pietro, hanno avuto l’umiltà e il desiderio di mostrarsi
per quello che sono e non come un ibrido.
Quante
persone, appena hanno visto, hanno cambiato canale, con sofferenza, perché
indisposti da quel modo di presentarsi e ricordandosi di quell’arroganza e
saccenza che è loro caratteristica da sempre.
Forse,
bisognerebbe andare in certe città,
magari anche a Padova, in una certa parrocchia quasi in centro storico per
sentire che ricordo hanno di quel giovane cappellano che con la sua esuberanza
malata di protagonismo ha messo il parroco nelle condizioni di dover rinunciare
al suo ministero.
Forse,
basterebbe interrogare i singoli preti della diocesi per sentire che risonanze
vengono fuori quando si parla di un certo prete che sembra abbia fatto la
scalata del Monte Bianco e si permette di non salutare nessuno e di snobbare
chiunque.
E’
presentato come il parroco del Carcere Circondariale, ma la Diocesi di Padova
ha sempre bisogno di nominarne altri, perché sono più i giorni che è assente,
rispetto a quelli che c’è.
Però,
gli onori vanno sempre a lui e appare come il “mago” di come ci si dovrebbe
comportare con i carcerati, di come tutti i preti dovrebbero atteggiarsi nei
confronti di questa realtà, permettendosi, lui, di dire che i suoi confratelli
preferiscono stare comodi nelle loro canoniche.
Lui,
che negli anni ha scritto decine di libri e ha sicuramente raggiunto la sua
autonomia, può fare questo ed altro.
Per
fortuna, conosciamo tanti preti che avendo avuto fortuna in questo campo o
simili, con umiltà e discrezione hanno dirottato tutto ad enti di carità,
proprio per evitare di cadere in certi rischi.
Quanta
meraviglia regna da queste parti per chi sembra il maggiordomo di Sua Santità!
E
tutti, sembra che abbiano paura di richiamarlo ad un atteggiamento di maggior
umiltà, di stile sacerdotale, di educazione.
Paura
perché?
Perché
potrebbe parlare male di qualcuno al Papa?
E’
questo lo scotto da pagare?
Povera
Chiesa, intrappolata dalle “bizze” di un prete che non si accorge che gli anni
passano anche per lui e forse è il caso che non si metta più i jeans rotti come
i giovanissimi!
Poveri
superiori, che fanno i duri con quelli che pensano siano deboli e diventano
deboli, insignificanti e timorosi, con quelli che pensano siano i duri, i
pericolosi per la loro incolumità!
Ma
passerà anche questa “generazione” e allora vedremo se ci sarà perseveranza o
altro; vedremo a cosa sarà servita tutta questa scenografia che sa proprio da
palcoscenico.
Un
tempo, quando si avvicinavano i preti, i loro abiti sapevano da incenso e da
lavoro; non avevano tante possibilità di cambiare vestito e l’incenso copriva
certi odori, il famoso odore delle pecore!
Prima
servivano Dio e poi andavano dal prossimo, dal povero, dal carcerato, senza
tante apparizioni in TV.
Oggi,
certi preti non profumano più di incenso ma delle marche più prestigiose di
profumo; però, hanno il numero di cellulare del Papa, si permettono di dare del
“tu” al Papa, umiliando quelli che non possono farlo; vanno a Santa Marta come
fosse la loro seconda casa e si prodigano per far andare quelli che gli sono
simpatici, mentre altri, nonostante abbiano chiesto, non hanno neppure ricevuto
una risposta.
Sono
cambiati i tempi, vero!
Eh
sì, ma ho la sensazione che a breve cambierà anche qualcos’altro e forse si
ritornerà a cercare i preti vestiti da preti, con la loro tuta da lavoro o
comunque vestiti in modo semplice.
Magari
ritorneranno anche ad emanare profumo d’incenso; allora sarà ancora più bello e
rassicurante.
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