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lunedì 11 maggio 2020

Non possiamo più chiamarla Silvia, ma dovremmo chiamarla Aisha.

Silvia Romano

E’ notizia di queste ore che Silvia Romano, l’operatrice umanitaria che tutti pensavamo rapita e in pericolo di vita se non addirittura morta, è ritornata in Italia e ha potuto ricongiungersi con i suoi familiari.
Come in altre circostanze simili a questa, l’Italia tutta, il che vuol dire anzitutto persone umili e semplici, prima ancora di governanti e politici, hanno “tifato” per lei, hanno appeso manifesti con la sua immagine, reclamandone la liberazione e portando prima di ogni altra motivazione, semplicemente quella della dignità della persona umana.
Silvia Romano, da quanto ci è dato sapere, è cresciuta in un ambiente buono e sereno, dove c’è stato posto anche per l’aspetto della fede, una fede che è maturata di pari passo con il suo crescere in età.
Ha frequentato anche l’oratorio e ci viene spontaneo pensare che il nome di Gesù risuonasse in quegli spazi, che la parola Chiesa non fosse interdetta, che pensieri come fedeltà a Cristo, al Vangelo e alla fede siano state provocazioni che ha sentito dai suoi sacerdoti, catechisti, educatori.
Come dicevo poco sopra, abbiamo avuto altri casi in passato di persone che erano state sequestrate in circostanze oscure, con motivazioni che lasciavano intravvedere anche l’odio verso il fatto che erano cristiani e appartenevano ad organizzazioni che si rifacevano alla fede cristiana.
Sempre, abbiamo fatto il possibile affinchè i loro volti e le loro storie non andassero dimenticati; abbiamo anche pregato, chiedendo a Dio di custodire la loro vita, di preservarli da quegli orribili pericoli che solo a pensarli fanno venire i brividi.
Abbiamo anche chiesto a Dio che potessero ritornare a casa, per riabbracciare i loro cari.
A volte questo è successo, altre volte no.
Per Silvia Romano, il “tifo” e la preghiera hanno avuto un riscontro positivo e di questo, noi, ringraziamo Dio e quanti si sono adoperati per concretizzare questa bella notizia.
Il ritorno a casa di Silvia però, è segnato da alcuni dispiaceri che non possono passare inosservati.
Non possiamo più chiamarla Silvia, ma dovremmo chiamarla Aisha, perché, durante il tempo del suo “sequestro” ha deciso di abiurare alla Fede cattolica e convertirsi all’islam.
Questa decisione, comporta l’abbandono del suo nome di Battesimo e di tutte quelle belle realtà che hanno animato la sua vita fino ad oggi.
Noi però, continueremo a chiamarla Silvia, perché così è registrata all’anagrafe dello Stato Italiano, quello Stato fatto di persone umili e semplici che ha pagato più di 4 milioni di euro per il suo riscatto.
Inoltre, per noi cristiani, il Sacramento del Battesimo come tutti gli altri Sacramenti ha il carattere indelebile.
Silvia, potrà anche dire di aver abbracciato liberamente, senza forzature, la fede islamica, ma ciò non toglie che il Battesimo che ha ricevuto permane nella sua vita e da oggi in poi, quel Battesimo, sarà pietra d’inciampo per ricordarle il gravissimo peccato che ha compiuto, rinnegando la fede del suo Battesimo, la fede che i suoi genitori hanno chiesto per lei, in forza della loro fede, la fede che lei stessa ha portato avanti per buona parte della sua vita, per lo meno da quando è stata capace di intendere e volere.
C’è un altro dispiacere che fa piangere i nostri cuori, soprattutto quando pensiamo ai martiri di questi ultimi anni, morti dilaniati dall’odio di quegli islamici che si definiscono appartenenti all’isis o ad altre compagini criminali.
Ci dispiace apprendere che hanno suonato le campane a festa nel suo paese di origine e che magari si organizzerà una festa negli ambienti dell’oratorio che lei ha frequentato.
Non è per questioni di razzismo che dico questo, ma per rispetto a tutte le vittime cristiane dell’odio islamico.
Bisognerebbe ogni tanto dare la parola ai sacerdoti e ai vescovi che vivono in quei paesi, per sentire quanto contenti sono del dialogo che la Chiesa cattolica porta avanti con il mondo islamico!
La verità del pensiero di questi testimoni, non la sentiremo mai nelle aule dei sinodi, negli uffici della segreteria di Stato, nelle udienze che il Papa concede loro.
Anzi, e sono sempre di più a dirlo, sono ormai anni che a malincuore sono costretti ad usare due linguaggi.
Uno, di opportunità, per timore di ritorsioni che ormai sono all’ordine del giorno!
Un altro, di profonda verità, che lasciano uscire dalle loro labbra quando sono lontani dai sacri palazzi che di sacro non hanno più nulla, se non quando, per far valere il loro potere e volere, dicono di tenere loro in mano “le chiavi”.
Le campane del paese di Silvia Romano avrebbero dovuto suonare a morto, quando si è saputo della sua abiura nei confronti della fede cristiana cattolica e sulle tante zone d’ombra che ci stanno dietro a questa vicenda!
Ma dov’è finita la dignità della nostra fede e quella di coloro che dovrebbero essere i primi difensori della fede cristiana cattolica?
A coloro che chiedono lo “sbattezzo”, le nostre Curie inviano una lettera dove mettono in evidenza la gravità del peccato e la conseguente scomunica “lataesententiae”; a questa donna, hanno voluto riservare il privilegio del suono delle campane e magari non le hanno suonate per tutti coloro che sono morti di corona virus in queste settimane!
Questa, non è una cosa buona e nessuno potrà dire che lo è; va contro le più elementari regole del buon senso, dell’onore cristiano e di quella riconoscenza che dobbiamo avere nei riguardi dei testimoni della fede di ieri e di oggi.
Qui, non si tratta di essere dispiaciuti perché uno di “fede interista è passato al tifo milanista”; qui si tratta di piangere, perché una figlia di Dio ha deciso, in circostanze oscure, di abbandonare la sua fede per abbracciarne un’altra che sgronda sangue, e coloro che avrebbero dovuto mostrare un dolore che potrebbe essere stato una predica, non hanno detto niente.
Ma d’altra parte, di cosa ci meravigliamo, se è pane quotidiano sentire che non si deve più evangelizzare con impegno, tenacia e sacrificio?
Evangelizzare è diventato sinonimo di proselitismo!
Ma nella Chiesa c’è sempre stato solo il desiderio di condurre tutti a Cristo e ora, che è venuto meno questo pensiero, questo desiderio, stiamo assistendo ai più schifosi teatrini, dove sacro e profano vanno di pari passo.
Si ha paura di “consacrare” un paese a Maria Santissima, di sfruttare in modo bello il giorno in cui si ricorda la prima apparizione della Madonna a Fatima per aiutare il popolo di Dio a rivolgersi a Colei che invochiamo come aiuto dei cristiani e ripeto, dei cristiani!
C’è intraprendenza però, per costruire un giorno di preghiera e digiuno con chi non ha niente da condividere con noi e anzi, non aspetta altro che il momento per eliminarci!
Cristo non si può smentire: “Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno”.
Chi salverà la fede, la Chiesa, la nostra libertà?
Non certo chi ci viene in mente d’istinto!
La salverà Cristo, la testimonianza dei martiri della prima ora e di queste ore e la fede semplice di milioni di cristiani che tengono duro, aspettando tempi migliori, come hanno fatto tanti nostri fratelli e sorelle in quei paesi del mondo che hanno conosciuto la dittatura e la persecuzione nei confronti della fede.
Ora, la persecuzione è dentro la Chiesa; vorremmo essere profetici e coraggiosi e denunciare tutto, ma non è facile!
Tuttavia, ci sono i fatti che parlano, le scelte di campo che ogni giorno vanno a demolire quello che altri hanno costruito e quel continuo bisogno di difendersi da questo e da quell’altro, accusando di complotti a destra e sinistra, tutte cose che non si erano mai sentite nella Chiesa.
La vera umiltà, nella sostanza e nella forma, sta nell’inserirsi nella scia del cammino che quanti ci hanno preceduto, hanno percorso.
Ci dispiace tutto questo; piangiamo, ma ci ricordiamo di quello che ha detto Gesù: “Beati voi, quando vi insulteranno e vi perseguiteranno; rallegratevi e gioite, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli”.
Siamo felici che tu sia viva e stia bene, cara Silvia; noi, ti affidiamo ancora al cuore di Dio e alla sua misericordia come ciascuno di noi.

Anselmus

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