Mons. Pietro Shao Zhumin |
Continua la persecuzione anticattolica in Cina.
Due fatti recentissimi di cronaca hanno riportato l’attenzione della comunità internazionale sulla drammatica violazione dei diritti umani ed in particolare della persecuzione anticattolica nella Repubblica Popolare Cinese. Il governo di Pechino ha sottoposto a regime di carcerazione il Vescovo di Wenzhou, membro della cosiddetta “Chiesa sotterranea” fedele alla Chiesa cattolica di Roma, Mons. Pietro Shao Zhumin.
Il fatto è di una tale gravità che ha indotto lo stesso Ambasciatore della Repubblica federale tedesca, Michael Clauss, a esternare senza timori sul sito ufficiale dell’Ambasciata tedesca una dura nota di condanna del governo cinese per le ripetute persecuzioni commesse da anni contro il Vescovo Zhumin per il solo fatto di essere fedele alla Chiesa di Roma. L’Ambasciatore, richiedendo espressamente la liberazione del Vescovo cattolico ne ha chiesto la scarcerazione. Dal 18 maggio il Vescovo Zhumin è praticamente “scomparso”, arrestato dall’autorità di polizia cinese dopo essere stato convocato per un colloquio presso gli uffici di governo e si teme che sia sottoposto a torture fisiche e psicologiche per indurlo ad abiurare alla fede cattolica ed aderire alla Chiesa dell’Associazione Patriottica, l’organizzazione religiosa che formalmente si dichiara cristiana ma che è però emanazione diretta del governo cinese, sottoposta a regolamenti statali, e non riconosce altra autorità in materia religiosa se non il governo comunista cinese. Contestualmente in questi giorni si consuma la tragedia dell’intellettuale Liu Xiaobao, Premio Nobel per la Pace, gravemente malato di tumore al fegato in fase terminale, perseguitato dal regime comunista cinese a causa della sua lotta per l’affermazione dei diritti umani in Cina ed in stato di detenzione da bene undici anni con l’arrogante accusa di «sovversione contro il potere dello Stato» nel solco della tradizionale brutale logica di persecuzione attuata dalla autorità del regime comunista di Pechino nei confronti di chiunque faccia sentire forte la sua voce a favore dei diritti fondamentali della persona umana. L’autorità cinese ha negato ogni possibilità di rilascio di Liu Xiaobao, negando addirittura la possibilità che possa essere sottoposto a cure adeguate in altri Paesi: fonti autorevoli ritengono che il Premio Nobel non sia stato volutamente curato dalle autorità cinesi in carcere. Liu Xiabao rappresenta uno dei più autorevoli coraggiosi rappresentanti del mondo culturale ed intellettuale cinese, che per amore della libertà e dei diritti fondamentali della persona nel 2008 ha ispirato la pubblicazione di Carta 08.
La Carta 08 è considerata come uno dei tentativi di riforma nei diritti umani che diede più speranza ai cittadini cinesi. Si trattava di un manifesto promosso da Liu Xiaobo e sottoscritto da intellettuali, attivisti, avvocati, artisti ed ex-membri del PCC. Con questo documento i cittadini chiedevano la fine del monopartitismo e la democrazia. È un appello alla libertà di espressione, al rispetto dei diritti umani e alle elezioni libere, un manifesto politico culturale che condanna il totalitario regime comunista cinese invocando il passaggio a riforme in senso democratico nel rispetto della centralità dei diritti della persona umana. Purtroppo queste due vicende ripropongono in modo drammatico la questione della violazione permanente dei diritti civili della persona umana da parte di un brutale regime che per quanto anacronisticamente ripiegato sulla vetusta ideologia marxista, afferma con virulenza il divieto di ogni ingerenza straniera e della comunità internazionale in materia di violazione diritti umani, in spregio alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo ed ai numerosi trattati per la loro tutela sottoscritti dallo stesso governo di Pechino.
Il fatto che la Repubblica Popolare Cinese sia un colosso economico e militare mondiale, coniugando non casualmente il più sfrenato liberismo di mercato ad un ferreo sistema politico totalitario di impronta veteromarxista, le permette di ignorare con arroganza i ripetuti richiami della comunità internazionale ad un maggiore rispetto per i diritti umani, la libertà religiosa e di pensiero.
Le Nazioni Unite in verità non hanno mai fatto mistero di mettere la Repubblica Popolare Cinese nella black list dei paesi che violano con maggiore continuità i diritti fondamentali della persona umana: le principali agenzie dell’ONU e della comunità internazionale hanno dimostrato che in Cina si hanno violazioni alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione (articolo 18 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo); alla libertà di espressione (articolo 19); alla libertà di riunione e associazione pacifica (articolo 20), ricordiamo solo gli innumerevoli casi di ricorso all’uso della violenza indiscriminata da parte del Partito Comunista Cinese contro manifestanti (massacro di Tienanmen), seguaci di una fede religiosa, (caso della Chiesa sotterranea cattolica fedele al Papa, caso del movimento Falun Gong) e oppositori pacifici al Partito (Campagna anti-destrista). Violazioni si hanno anche all’articolo 5 che prevede il divieto di ricorrere alla tortura o altri trattamenti crudeli, inumani e degradanti e all’articolo 9 riguardante il divieto alla detenzione arbitraria che si attua attraverso il ricorso ai famigerati Laogai, veri e propri campi di concentramento ove i detenuti per ragioni di opinione politica, fede religiosa, sono sottoposti a massacranti turni di lavori forzati e torture mortali. La stessa Commissione contro la tortura dell’ONU ha espressamente richiesto che il governo cinese ponga fine alla pratica diffusa di torturare i prigionieri, alla campagna di arresti e omicidi contro attivisti e avvocati per i diritti umani e provveda alla chiusura delle “prigioni nere” illegali, le cosiddette blackjail, vere e proprie prigioni fantasma, in cui i detenuti per lo più politici e religiosi scompaiono senza lasciare traccia di sé e permettere ai parenti di poterli assistere. Lo stesso Vescovo cattolico Pietro Zhemin si trova in una di queste blackjail.
Questo è il desolante quadro della violazione dei diritti umani in Cina, Paese che purtroppo, in virtù della esplosiva crescita economica dell’ultimo ventennio, si avvia ad assumere un ruolo geopolitico di autentico global player, aspirando ad incarnare addirittura la leadership del pianeta attraverso una disinvolta pragmatica politica con cui il Partito Comunista dimostra inequivocabilmente di voler mantenere con il pugno di ferro la guida del Paese, nel disinteresse del mondo politico occidentale.
(Luca Hofer fonte corrispondenza romana)
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