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martedì 7 febbraio 2017

L’arcivescovo Guido Pozzo il Segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, incaricata di negoziare il ritorno alla piena comunione della Fraternità San Pio X.

In un intervista rilasciata dall’arcivescovo Guido Pozzo Segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei,al settimanale spagnolo Vida Nueva sostiene che un dialogo che egli vede come una opportunità per tutti i cattolici: “Può aiutare a precisare e a chiarire la corretta interpretazione, per evitare equivoci, errori o ambiguità su alcuni insegnamenti conciliari”.


Giornalista: La FSSPX ha aperto un nuovo seminario in Virginia e dimostra una grande vitalità. Roma vede questo come qualcosa di positivo?


Mons. Pozzo: L’incremento delle vocazioni al sacerdozio in questo e negli altri seminari della FSSPX è un segno di una vitalità consolidata. Anche negli Istituti Ecclesia Dei, che seguono le tradizioni disciplinari e liturgiche antiche, si registra ogni anno un costante aumento delle vocazioni. E’ una benedizione per tutta la Chiesa, quantunque, nel caso della FSSPX, il non aver raggiunto la piena comunione è una ferita che aspetta di essere sanata. Il riconoscimento canonico di un istituto clericale non è un atto notarile, né puramente formale, ma un elemento costitutivo intrinseco della sua ecclesialità.

Giornalista: Fellay dice che l’accordo per una prelatura personale è “quasi pronto”


Mons. Pozzo: E’ in atto un profondo esame di alcuni aspetti del testo della figura giuridica della prelatura personale. Una volta ultimato, si presenterà al Santo Padre una bozza delle costituzioni. Ciò nonostante, la condizione necessaria per il riconoscimento canonico è l’adesione ai contenuti della Dichiarazione Dottrinale che la Santa Sede ha presentato alla FSSPX.

Giornalista: Che si può dire sull’interpretazione del Concilio?


Mons. Pozzo: Gli incontri di questi anni hanno portato ad un chiarimento decisivo: il Vaticano II dev’essere compreso e letto nel contesto della tradizione della Chiesa e del suo costante magistero. Non si tratta di un “meta-concilio” né di un “superdogma”, ma di un momento nella storia della fede. L’autorità magisteriale della Chiesa non può fermarsi al 1962. Né il magistero sta al di sopra della Parola, scritta o trasmessa, né il progresso, nella migliore comprensione dei misteri della fede, deve avvenire sempre “nella stessa dottrina, nello stesso senso e nella stessa interpretazione” degli insegnamenti della Chiesa trasmessi dalla tradizione perenne, secondo quanto definito dal Vaticano I e ripreso nella Dei Verbum del Vaticano II.
Accettato dalla FSSPX, questo è il punto centrale della discussione. Gli insegnamenti del Concilio hanno un diverso grado di autorità, a cui corrisponde un diverso grado di adesione. Dopo la piena riconciliazione, potranno essere oggetto di esame le riserve sulle questioni che non sono proprie della materia di fede, ma attengono ai temi che si riferiscono all’applicazione pastorale degli orientamenti e degli insegnamenti conciliari, come la relazione fra la Chiesa e lo Stato, l’ecumenismo, il dialogo interreligioso o alcuni aspetti della riforma liturgica e della sua applicazione. 
A reggere il tutto dev’essere il criterio espresso da Benedetto XVI nel suo discorso alla Curia del 2005, secondo il quale bisogna distinguere le principali dottrine insegnate dal magistero costante della Chiesa (permanenti e irrevocabili) dalle loro applicazioni storiche, che dipendono in gran parte dalle contingenze dei tempi.
Una discussione più approfondita di questi temi potrà essere utile per una maggiore precisione e chiarezza, per evitare malintesi o ambiguità che, disgraziatamente, sono abbastanza diffuse.
Faccio notare quanto detto da Bernard Fellay: “Per la FSSPX, in certi documenti conciliari ci sono alcuni punti ambigui. Possiamo esporre i problemi, ma non siamo quelli che devono chiarirli. E’ Roma che ha l’autorità”. E’ importante, da un lato evitare di essere rigidi e mantenere posizioni di massima, e dall’altro conservare l’apertura e la disponibilità alla discussione.


Giornalista: L’accettazione del Concilio è una condizione essenziale?


Mons. Pozzo: E’ un falso problema chiedersi se un cattolico possa accettare o no il Concilio. Un buon cattolico non può rifiutarlo, trattandosi di un’assemblea universale dei vescovi riuniti intorno al Papa. Il vero problema è l’interpretazione dei documenti conciliari. Come ha detto Benedetto XVI, vi sono due ermeneutiche del Vaticano II, una nella linea del rinnovamento nella continuità con la tradizione e un’altra nella linea della rottura con la tradizione. L’interpretazione corretta è la prima, ma esiste un problema nell’interpretazione di certe formulazioni. Un dialogo con la FSSPX può aiutare a precisare una volta meglio la corretta interpretazione, per evitare equivoci, errori o ambiguità che sono presenti in un certo modo di comprendere e di interpretare alcuni insegnamenti conciliari. Questo, Benedetto XVI lo definì come il “concilio virtuale”, creato dal potere mediatico e dalla teologia neo-modernista. La distinzione tra “Concilio reale” e “Concilio virtuale” è fondamentale.


Magistero costante

Giornalista: Che requisiti sono, in definitiva, i fondamentali?


Mons. Pozzo: Come per qualunque altro cattolico, l’adesione alla professione di fede, il vincolo dei sacramenti e la comunione gerarchica col Papa. Un punto specifico si dovrebbe vedere, come dico, nella corretta relazione tra la tradizione e il magistero della Chiesa e il fatto che il Concilio debba essere letto alla luce della tradizione perenne e del magistero costante della Chiesa.

Giornalista: Esiste una tabella di marcia?


Mons. Pozzo: Non ci sono scadenze. Come in un percorso ciclistico, vi sono tappe prima della meta. Anche qui vi sono tappe e non si devono anticipare le ultime. Abbiamo già compiuto passi notevoli, contribuendo a creare un clima favorevole nelle relazioni umane ed ecclesiali. Stiamo procedendo con pazienza e gradualità nella buona direzione.

Giornalista: Che influenza ha avuto l’incontro tra Fellay e il Papa in aprile?


Mons. Pozzo: E’ stato utile per creare un clima più familiare e superare atteggiamenti di sfiducia che talvolta hanno prevalso nel passato, senza nascondere le differenti posizioni rispetto a certe questioni. L’accoglienza dell’altro ha la sua influenza nel momento di affrontare con serenità problemi di ordine dottrinale.

Giornalista: E’ d’aiuto la decisione del Papa che i fedeli possono confessarsi con i loro sacerdoti?


Mons. Pozzo: E’ così. La decisione di prolungare questa facoltà più in là del giubileo e un gesto di benevolenza, uno stimolo perché la FSSPX riconosca che solo nella piena comunione potrà trovare la sua collocazione ecclesiale.

Giornalista: Come sono questi incontri?


Mons. Pozzo: Molto sereni e cordiali. Adesso sono anche in un tono meno formale. Nella prima parte dei dialoghi, tra il 2009 e il 2011, i colloqui si svolgevano nella Congregazione per la Dottrina della Fede e risultavano più formali. Vi era un ordine del giorno preciso su temi di carattere dottrinale. Ora si è inteso ampliare la discussione e comunicare reciprocamente le impressioni che ognuno ha sulla vita della Chiesa.

Giornalista: E’ ottimista?


Mons. Pozzo: Ho fiducia. Non sono ottimista, né pessimista, ma realista. Per come procediamo ho fiducia, stiamo andando nella direzione giusta. Sono sempre stato un tomista, e credo nella capacità della ragione illuminata dalla fede di giungere alla verità oggettiva delle cose. Non sono un soggettivista. Per me la cosa più importante è l’oggettività.


Giornalista: Crea difficoltà al dialogo con la FSSPX la posizione di Francesco sull’ecumenismo e il dialogo interreligioso?


Mons. Pozzo: Quanto maggiore è la chiarezza tra i veri ecumenismo e dialogo interreligioso, separati dai confusi e ambigui ecumenismo e dialogo interreligioso, tanto minori saranno le riserve della FSSPX.

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