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venerdì 4 novembre 2016

Quando San Pio X, inascoltato, spiegava come stroncare il modernismo


La storia della Chiesa ci insegna che non pochi vescovi, durante il pontificato di papa Sarto, hanno ingenuamente sottovalutato la gravità del pericolo modernista e ne hanno permesso la sopravvivenza. Esso, così, ha continuato a serpeggiare segretamente; poi cautamente è rinato pian piano sotto forma di nouvelle théologie o neomodernismo negli anni Trenta/Quaranta ed è stato condannato energicamente nel 1950 da Pio XII (Enciclica Humani generis); ma, dopo la morte di papa Pacelli, “il modernismo redivivo” ha sfondato senza remore ogni argine con “l’aggiornamento” di Giovanni XXIII e con il Concilio Vaticano II. Infine ha raggiunto, in maniera ostentata, il vertice dell’ultra modernismo con Francesco I, con il quale ci si trova praticamente già nello spirito del “Vaticano III”, auspicato da Rahner, Küng e Schillebeeckx, secondo i quali il Vaticano II si sarebbe fermato a metà strada nella “rivoluzione” della Chiesa.

Nel Motu proprio “Sacrorum Antistitum” San Pio X mette in luce la malizia dei modernisti da lui qualificati “una perniciosissima [‘dannosissima’, N. Zingarelli] genìa [‘accolta di gente malvagia’, N. Zingarelli] di uomini”, che, nonostante siano stati smascherati nel 1907 con l’EnciclicaPascendi dalle sembianze di una presunta scienza ecclesiastica moderna, sono rimasti nella Chiesa per sovvertirla dall’interno sin dalle sue fondamenta, e perciò Pio X si augura che “nessun vescovo ignori che […] non hanno abbandonato i loro propositi di turbare la pace della Chiesa”[1].

Papa Sarto sottolinea che essi sono “avversari tanto più temibili in quanto più vicini”[2] ribadendo ancora una volta il pericolo tipico del modernismo: il voler restare dentro la Chiesa per corroderne la sostanza lasciando solo l’apparenza, così come un tarlo rode il mobile nel quale si annida. Leggendo i Documenti di San Pio X ci si accorge che il Papa insiste molto sul pericolo dei “falsi fratelli” (San Paolo II Cor., XI, 26), il quale è una delle insidie più perniciose poiché li si reputa fratelli e invece sono nemici e lottano contro la Chiesa e i veri fedeli colpendoli alle spalle.

A questo punto San Pio X affronta il problema dei modernisti ecclesiastici, i quali, data la loro posizione di comando nella Chiesa, sono i più temibili. Costoro, “abusando del loro ministero, inseriscono negli animi un’esca avvelenata per sorprendere gli incauti, diffondendo una parvenza di dottrina in cui si racchiude la somma degli errori”[3]. È triste, ma è la realtà: i modernisti ecclesiastici approfittano del loro stato e invece di servire la Chiesa se ne servono per avvelenare le anime dei fedeli incauti e ingenui mediante una dottrina apparentemente cattolica ma sostanzialmente erronea, anzi il sistema modernista riunisce in se stesso tutti gli errori teologici, essendo il modernismo “il collettore di tutte le eresie”.

“Questa peste si diffonde in una parte del campo del Signore da cui sarebbero da aspettarsi i frutti più consolanti”[4], deplora San Pio X. Ed infatti il modernismo è penetrato massimamente nelle fila del giovane clero e anche nell’animo di alcuni ecclesiastici, che avrebbero dovuto lavorare all’edificazione della Chiesa e invece hanno lavorato per mutare il Cristianesimo in una vaga forma di esperienza religiosa sentimentalistica, senza dogmi, morale oggettiva, gerarchia e disciplina.

Per questo motivo il Papa dà una serie di ordini, racchiusi in brevi proposizioni, affinché i vescovi possano più facilmente estirpare la mala pianta modernista e rimuovere gli ecclesiastici modernisti dai posti di comando nella Chiesa. Vediamone i principali.



Lo studio del Tomismo

Per quanto riguarda gli studi ecclesiastici essi debbono essere fatti sulle orme della filosofia scolastica e specialmente tomistica: «L’ allontanarsi da San Tommaso d’Aquino, specialmente in metafisica, non avviene senza grave danno. Come diceva l’Aquinate stesso: “parvus error in principio fit magnus in fine / un piccolo errore iniziale e riguardo ai princìpi diventa grande alla fine”» (De ente et essentia, proemio)[5]. Allontanarsi dalla metafisica dell’essere comporta il grave pericolo di conclusioni disastrose.

Se “i problemi del momento [la nouvelle théologie, ndr] si vanno facendo sempre più gravi, questa è una ragione – scriveva il padre Garrigou-Lagrange – per ritornare a studiare e capire la vera dottrina di S. Tommaso intorno all’essere, alla verità, al valore dei primi princìpi dai quali si risale con certezza all’esistenza di Dio. […]. Si tratta dei princìpi direttivi del pensiero e della vita morale,tanto più necessari quanto più le condizioni dell’ esistenza umana si fanno maggiormente difficili e richiedono certezze più ferme”[6].

Già Leone XIII nella Lettera al Generale dei Francescani del 13 dicembre del 1885 aveva scritto: «L’allontanarsi dalla dottrina del Dottore Angelico è cosa contraria alla Nostra volontà, e, assieme, è cosa piena di pericoli. […]. Coloro i quali desiderano di essere veramente filosofi, e i religiosi sopra tutti ne hanno il dovere, debbono collocare le basi e i fondamenti della loro dottrina in S. Tommaso d’Aquino».

San Pio X con la promulgazione del Motu proprio “Doctoris Angelici” del 29 giugno del 1914, imponeva come testo scolastico la Summa Theologiae di San Tommaso alle facoltà teologiche, sotto pena d’ invalidarne i gradi accademici. Papa Sarto richiamava l’obbligo di insegnare i princìpi fondamentali e le tesi più salienti del tomismo (“principia et pronuntiata majora”)[7] e a tal fine incaricò nell’inverno del 1914 il padre gesuita Guido Mattiussi di “precisare il pensiero di S. Tommaso sulle questioni più gravi in materia filosofica, e di condensarle in pochi enunciati chiari ed inequivocabili”[8]. Nell’estate del 1914 il card. Lorenzelli, Prefetto della ‘S. Congregazione degli Studi’, presentò le XXIV Tesi compilate da Mattiussi a San Pio X, che le approvò il 27 luglio del 1914[9].

Il 7 marzo 1916 la ‘S. Congregazione degli Studi’ a nome del papa Benedetto XV stabilì che “Tutte le XXIV Tesi filosofiche esprimono la genuina dottrina di San Tommaso e sono proposte comesicure (tutae) norme direttive”[10]. Successivamente il Magistero ecclesiastico, sempre con papa Benedetto XV, il 7 marzo 1917 decise che «le XXIV Tesi dovevano essere proposte come regole sicure di direzione intellettuale. […] Nel 1917 il ‘CIC’ nel canone 1366 § 2 diceva: “Il metodo, i princìpi e la dottrina di S. Tommaso devono esser seguiti santamente o con rispetto religioso”. Tra le fonti indicate il ‘Codice’ addita il ‘Decreto di approvazione delle XXIV Tesi’»[11].

Sempre papa Giacomo Della Chiesa nell’Enciclica Fausto appetente die (29 giugno 1921) insegnava: «La Chiesa ha stabilito che la dottrina di S. Tommaso è anche la sua propria dottrina (“Thomae doctrinam Ecclesia suam propriam esse edixit”)» e Pio XI nell’enciclica Studiorum ducem (1923) ha ribadito l’insegnamento delle Encicliche di Leone XIII, S. Pio X e Benedetto XV per cui è certo che la dottrina della Chiesa è quella di S. Tommaso: “Ecclesia edixit doctrinam Thomae esse suam” (Benedetto XV, Fausto appetente die, 1921).

Papa Sarto nel Motu proprio “Sacrorum Antistitum” vuole che si studi la patristica e la teologia positiva, ma senza detrimento della filosofia scolastica, spregiata sommamente dai modernisti. Infatti il “ritorno alle fonti”, l’amore della sola patristica, cui viene contrapposta “l’arida scolastica”, sono l’arma dei modernisti per generare la confusione nelle menti del clero, che, senza una seria preparazione tomistica, non riesce a mettere ordine nella bella e vasta, ma non sistematizzata materia della patristica. San Tommaso è colui che ha ricondotto ad una sintesi organica e precisa l’ elaborazione dottrinale, ancora in stato di fermentazione, della patristica ed ha portato all’apice della massima perfezione la teologia sistematica basandosi e perfezionando la patristica. In breve la teologia nata con la patristica raggiunge i sommi vertici della speculazione filosofico/teologica specialmente con San Tommaso d’Aquino.



Allontanare gli insegnanti modernisti

San Pio X ordina di allontanare senza alcun riguardo i direttori e gli insegnanti dei seminari e delle università pontificie imbevuti di modernismo. Con il suo buon senso papa Sarto ricorda che non si può insegnare la verità senza condannare l’errore ed anche l’errante senza il quale non esisterebbero errori. Infatti “Actiones sunt suppositorum / le azioni sono prodotte dalle persone”, per cui se si condannano solo gli errori, ma non gli erranti, si lasciano sopravvivere gli errori e ciò equivarrebbe a combattere il furto senza arrestare i ladri.

In avvenire non sia conferita, continua il Papa, la laurea in teologia e in diritto canonico a chi non avrà prima compiuto il corso di filosofia scolastica[12]. San Pio X dà moltissima importanza allo studio della filosofia sistematica tomistica. Purtroppo,spesso, nei seminari si è data poca importanza alla filosofia sistematica e, quindi, alle prime obiezioni e contestazioni dei modernisti non si è saputo rispondere con precisione e con cognizione di causa andando al perché della questione. Infatti solo la conoscenza della filosofia scolastica ci fa capire il perché delle soluzioni teologiche e se manca la base filosofica non sussiste la vera teologia. Inoltre si tenga presente che ogni errore teologico, politico, economico ha una radice filosofica.



I “libri proibiti”

I vescovi, ricorda il Motu proprio, hanno il dovere di impedire che siano letti o pubblicati gli scritti dei modernisti o che odorano di modernismo: “Infatti essi non sono meno dannosi dei libri pornografici; anzi sono ancora peggiori, perché viziano le radici stesse della vita cristiana”[13].

Spessissimo il vizio morale ha come fonte una deviazione dottrinale: si vive come si pensa. L’Aquinate (II Sent., dist. 39, q. 3, a. 2, ad 5) insegna che la radice dell’errore è la cattiva volontà, la quale spinge l’intelletto ad aderire a ciò che fa comodo e non a ciò che è vero.

Vi sono pure uomini di non cattive intenzioni, che, digiuni di studi teologici e imbevuti di filosofia moderna, cercano di accordare questa con la fede. “Il buon nome e la buona fama degli autori fa sì che le loro pubblicazioni siano lette senza alcun timore; quindi sono più pericolosi perché a poco a poco portano al modernismo”[14].

Il Papa ricorda che la filosofia moderna è inconciliabile con la fede e la retta ragione poiché fa dipendere la realtà dal pensiero soggettivo dell’uomo. La filosofia moderna è iniziata con Cartesio e il suo Cogito ergo sum ed ha proseguito il suo corso con Kant ed Hegel, ossia con l’idealismo totalmente soggettivista e relativista.



L’imprimatur

Per la pubblicazione i libri debbono prima essere esaminati da un censore, che darà per primo la sua sentenza. Se questa sarà favorevole il vescovo concederà la facoltà di stampa o l’Imprimatur, la quale sarà preceduta dalla formula Nihil obstat e dal nome del censore[15]. Un cattivo libro può rovinare le menti e i cuori, mentre un libro buono può aiutare a conoscere il vero e ad amare il bene.



Fatti concreti

Il Papa viene al sodo e si domanda senza giri di parole: “a che cosa gioveranno questi Nostri comandi se non verranno osservati a dovere e con fermezza?”[16]. In breve “fatti e non parole”, come insegna Sant’Ignazio da Loyola nell’aureo libro dei suoi Esercizi spirituali. Non basta condannare il modernismo a parole, ma bisogna prendere misure pratiche contro i modernisti.



Pietà e dottrina

Per la buona formazione del clero papa Sarto ricorda che sono assolutamente necessarie due cose: la dottrina e la virtù. Se il giovane seminarista manca di queste due disposizioni, dopo un anno di prova deve essere rinviato e non più ripreso in nessun altro seminario. Occorre che il seminarista abbiavita innocente assieme alla integrità di dottrina, la quale deve essere superiore alla media perché occorre lottare contro i modernisti che sono nemici per nulla sprovveduti, i quali associano alla raffinatezza degli studi una scienza intessuta di inganni. Quindi i buoni sacerdoti debbono essere forniti di armi efficaci[17]. “Doctus cum pietate et pius cum doctrina/ dotto con pietà e pio con dottrina” è il motto degli scolastici: la sola dottrina senza pietà gonfia di orgoglio e la sola pietà senza dottrina è cieca e non sa rispondere alle obiezioni dei novatori.

Segue il giuramento antimodernista che i chierici debbono prestare a partire dal suddiaconato e che rappresenta un compendio della dottrina cattolica e degli errori modernisti in esso condannati.

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