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giovedì 4 febbraio 2016

“Ubi Petrus, ibi Ecclesia”

«Ipse est Petrus cui dixit: “Tu es Petrus et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam”. Ubi ergo Petrus, ibi Ecclesia; ubi Ecclesia, ibi nulla mors, sed vita aeterna»
Famose (e assai dimenticate) sono le parole di Sant’Ambrogio:  Dove c’è Pietro, ivi è la Chiesa, poiché la vera Chiesa (e il vero cattolico) è quella che riconosce a suo capo il vescovo di Roma. Essere cattolici significa dunque ritenere che il Papa è il Vicario di Cristo, con la divina autorità di dirigere e insegnare a tutta l’umanità.


“Beato sei tu, Simone figlio di Giona, perché né carne né sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del Regno dei Cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt 16, 17-19).

"Spiega il cardinale Biffi" ("Pecore e pastori" ed. Cantagalli)

“Per la miglior vitalità del suo “gregge”, ad assicurare la permanenza certa della verità rivelata entro la sua “famiglia”, a garanzia di un governo ordinato e concorde per la sua ecclesia, il Signore Gesù introduce il “ministero-carisma” di Pietro. Sceglie uno tra i Dodici – e uno solo – che sia il riferimento ultimo e decisivo in materia di magistero, di suprema disciplina, di necessario orientamento comune, per una realtà ecclesiale che avrebbe dovuto affrontare le intemperie della storia. L’episodio narrato in Mt 16, 17-19 evidenzia come a nessun singolo uomo Gesù si sia mai rivolto con una espressione così giubilante “Beato sei tu, Simone figlio di Giona”! Si avverte la gioia e l’entusiasmo di chi finalmente ha ascoltato dalle labbra di uno dei “suoi” (di solito tanto incapaci di lasciarsi conquistare dall’eccelso significato di ciò che egli tentava di comunicare) la verità salvifica centrale del disegno eterno del Padre (“Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”). “Tu sei Pietro”, cioè “Roccia”: un nome di persona che non era in uso, e dunque un nome intensionalmente profetico (indicativo della sua nuova missione particolare). Gesù prende dunque un suo apostolo (con la sua vulnerabile umanità) e lo carica della responsabilità di essere la “roccia”, la fondazione sicura della “sua Chiesa”, cioè di una realtà che avrà a che fare da un lato col “regno dei cieli” e dall’altro con le potenze della morte e del male (le “porte degli inferi”). “A te darò le chiavi”: chi ha le chiavi è il padrone di casa. La Chiesa di Gesù diventa la Chiesa di Pietro.[…]In Lc 22, 31-32 ci si affida ai ricordi della parole di Gesù a Pietro nell’ultima cena – Simone, Simone, ecco Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno; e tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli -. Gesù prevede la caduta di Simone (“una volta convertito”) seguita dal suo ravvedimento: così chiarisce che quella sicurezza unica e privilegiata non deriva dalla solidità del suo temperamento, ma è un dono straordinario dall’alto, impetrato dalla preghiera dell’Unigenito del Padre (“ho pregato per te, perché non venga meno la tua fede”). Poiché gli assalti e le insidie del demonio contro coloro che sono “di Cristo” sarà un fenomeno costante della storia ecclesiale, questa eccezionale funzione della “fede di Pietro” sarà propria e inalienabile di tutti coloro che saranno chiamati a succedere al Principe degli apostoli nel suo specifico ministero e nel suo inconfrontabile carisma. […]. 
Gesù ci mette in guardia da una visione troppo idilliaca, da un’idea arcadicamente serena della vita pastorale, e ci ricorda che esistono, e sono sempre attive, le forze del male. Le sue pecore non devono dimenticare che esistono i ladri (Gv 10, 10 – il ladro non viene se non per rubare , uccidere e distruggere-) ed esistono i lupi. Anzi ci dice senza mezzi termini che il suo gregge vive in mezzo ai lupi (Mt 10, 16 ;Lc 10,3), i quali tentano sempre di rapire e disperdere gli agnelli di Dio (Gv 10,12). Questi lupi non sono solo esterni al gregge; si possono trovare anche tra noi “in veste di pecore” (Mt 7,15). A questo proposito san Paolo non esita a parlare in termini espliciti di -falsi apostoli, lavoratori fraudolenti che si mascherano da apostoli di Cristo- (2 Cor 11,13); e aggiunge -ciò non fa meraviglia, perché anche satana si maschera da angelo di luce-La Chiesa del tempo di Ambrogio attraversava una grave turbolenza dottrinale proprio come adesso;
”È a lui che si deve la famosa frase che recita:“Ubi Petrus, ibi Ecclesia” (Dove c’è Pietro, lì c’è la Chiesa), e l’altra: “In omnibus cupio sequi Ecclesiam Romanam” e cioè “In tutto voglio seguire la Chiesa Romana” quasi un’attestazione del primato della Chiesa di Roma, sul quale la discussione andrà avanti per secoli e, come si sa, non è ancora finita.

Per i suoi molteplici scritti teologici e scritturistici è uno dei quattro grandi dottori della Chiesa d’Occidente, insieme a Gerolamo, Agostino e Gregorio Magno.
Nella Lettera apostolica Operosam Diem (1996) per il XVI centenario della morte di Ambrogio, Giovanni Paolo II, di venerata memoria, ha messo in risalto due importanti aspetti del suo insegnamento: il convinto cristo-centrismo e la sua originale Mariologia.
Ambrogio viene considerato l’iniziatore della Mariologia latina. “Di Maria Ambrogio è stato il teologo raffinato e il cantore inesausto. Egli ne offre un ritratto attento, affettuoso, particolareggiato, tratteggiandone le virtù morali, la vita interiore, l’assiduità al lavoro e alla preghiera.

Pur nella sobrietà dello stile, traspare la sua calda devozione alla Vergine, Madre di Cristo, immagine della Chiesa e modello di vita per i cristiani. Contemplandola nel giubilo del Magnificat, il santo vescovo di Milano esclama: “Sia in ciascuno l’anima di Maria a magnificare il Signore, sia in ciascuno lo spirito di Maria a esultare in Dio”.“Al centro della sua vita, sta Cristo, ricercato e amato con intenso trasporto. A Lui, tornava continuamente nel suo insegnamento. Su Cristo si modellava pure la carità che proponeva ai fedeli e che testimoniava di persona... Del mistero dell’Incarnazione e della Redenzione, Ambrogio parla con l’ardore di chi è stato letteralmente afferrato da Cristo e tutto vede nella sua luce”.

Questo suo pensiero centrale può essere sintetizzato nella famosa frase del De Virginitate“Cristo per noi è tutto”.

Ambrogio visse e operò totalmente e incessantemente tutto per Cristo e tutto per la Sua Chiesa. Il suo amore a Cristo era inscindibile dal suo amore alla Chiesa. Operare per far crescere l’amore a Cristo significava per lui lavorare, soffrire, studiare, predicare, piangere, rischiare la vita davanti ai potenti del tempo per la Chiesa, popolo di Dio, perché Ambrogio era profondamente convinto che “Fulget Ecclesia non suo, sed Christi lumine” (La Chiesa risplende non di luce propria ma di quella di Cristo), senza dimenticare mai che “Corpus Christi Ecclesia est”, (Il Corpo di Cristo è la sua Chiesa), quindi i fedeli possono benissimo dire tutti: “Nos unum corpus Christi sumus”.

E per questi fedeli, che sono la Chiesa, che è il corpo di Cristo, e per amore di Cristo presente nella Sua Chiesa, Ambrogio vescovo lavorò, studiò, rischiò la vita, pianse, pregò, predicò, viaggiò e scrisse libri fino alla fine. Questa arrivò, per la verità non inaspettata, il 4 aprile, all’alba del Sabato Santo quando correva l’anno 397.

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