Il cardinale Robert Sarah è prefetto della congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti
“Se si considera l’eucarestia come un pasto da condividere, da cui nessuno può essere escluso, allora si perde il senso del Mistero”. Così ha detto il cardinale Robert Sarah, da pochi mesi prefetto della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti, intervenuto al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia in occasione della presentazione della collana “Famiglia, lavori in corso”, una raccolta di saggi editi dalla casa editrice Cantagalli, in vista del prossimo Sinodo ordinario di ottobre. Una collana che ha l’obiettivo di stimolare il confronto e di toccare tutti i temi “caldi”: omosessualità, sessualità, divorzio, procreazione assistita, eutanasia, celibato. Tre volumi hanno aperto la collana, due dei quali scritti da docenti presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia: “Eucaristia e divorzio: cambia la dottrina?” di José Granados (che è anche stato nominato consultore del Sinodo dei vescovi) e “Famiglie diverse: espressioni imperfette dello stesso ideale?” di Stephan Kampowski. Il terzo, “Cosa ne pensa Gesù dei divorziati risposati?” è opera di Luis Sanchez Navarro, ordinario di Nuovo Testamento alla Università San Damaso di Madrid. Il Foglio aveva anticipato ampi estratti dei libri dei professori Granados e Sanchez il 15 aprile scorso.
“L’Occidente – ha detto Sarah rispondendo a braccio ad alcune domande che gli sono state poste dall'uditorio – si sta adeguando sulle proprie illusioni”. Il problema di tutto, ha rimarcato più volte il porporato di cui Il Foglio ha anticipato per l’Italia lo scorso 13 marzo un lungo estratto del libro “Dieu ou rien” uscito in Francia presso Fayard, è nella fede. “Se si pensa che anche nel rito del Battesimo non si menziona più la parola ‘fede’, quando ai genitori viene domandato cosa si chiede per il bambino alla Chiesa di Dio, si comprende l’entità del problema”, ha aggiunto il cardinale guineano, che ha anche biasimato il senso che viene dato oggi al Catechismo: "I bambini fanno disegni e non imparano nulla, non vanno a messa". Quanto al Sinodo prossimo venturo, l’invito è a non farsi illusioni su cambiamenti epocali: “La gente crede che ci sarà una rivoluzione, ma non potrà essere così. Perché la dottrina non appartiene a qualcuno, ma è di Cristo”. Dopo l'appuntamento dello scorso ottobre, ha osservato Sarah presentando i tre volumi, "fu chiaro che il vero fulcro non era e non è solo la questione dei divorziati risposati", bensì "se la dottrina della Chiesa sia da considerare un ideale irraggiungibile, irrealizzabile e necessitante quindi di un adattamento al ribasso per essere proposta alla società odierna. Se così stanno le cose, si impone necessariamente una chiarificazione se il Vangelo sia una buona notizia per l'uomo o un fardello inutile e non più proponibile". La ricchezza del cattolicesimo – ha aggiunto – "non può essere svelata da considerazioni dettate da un certo pragmatismo e dal sentire comune. La Rivelazione indica all'umanità la via della pienezza e la felicità. Disconoscere questo dato significherebbe affermare la necessità di ripensare i fondamenti stessi dell'azione salvifica della Chiesa che si attua attraverso i sacramenti".
Il problema è anche di quei “sacerdoti e vescovi” che contribuiscono con le loro parole a “contraddire la parola di Cristo”. E questo, ha detto Sarah, “è gravissimo”. Permettere a livello di diocesi particolari quel che ancora non è stato autorizzato dal Sinodo (il riferimento era alla prassi seguita in molte realtà dell’Europa centro-settentrionale) significa “profanare Cristo”. Poco vale invocare la misericordia: “Inganniamo la gente parlando di misericordia senza sapere quel che vuol dire la parola. Il Signore perdona i peccati, ma se ci pentiamo”. Le divisioni che si sono viste lo scorso ottobre, “sono tutte occidentali. In Africa siamo fermi, perché in quel continente c’è tanta gente che per la fede ha perso la vita”. Un appello, il cardinale, l’ha anche lanciato contro chi – membro del clero – usa un linguaggio non corretto: “E’ sbagliato per la Chiesa usare il vocabolario delle Nazioni Unite. Noi abbiamo un nostro vocabolario”. Una puntualizzazione, poi, l’ha voluta fare su una delle massime che vanno per la maggiore dal 2013, e cioè l’uscita in periferia. Proposito corretto, naturalmente, ma a una condizione: “E’ facile andare nelle periferie, ma dipende se lì portiamo Cristo. Oggi è più coraggioso stare con Cristo sulla croce, il martirio. Il nostro dovere è quello di andare controcorrente” rispetto alle mode del tempo, a “quel che dice il mondo”. E poi, "se la Chiesa smette di dire il Vangelo, essa è finita. Può farlo con i modi d'oggi, ma con fermezza". Infine, un appunto sul calo delle vocazioni sacerdotali nel mondo: "Il problema non è che ci sono pochi preti, quanto capire se quei preti sono davvero sacerdoti di Cristo".
fonte il Foglio
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