Pio vescovo, servo dei servi di Dio, con l’approvazione del sacro concilio, a perpetua memoria.
L’eterno pastore e vescovo delle nostre anime (33) per rendere perenne l’opera salutare della redenzione, decise di costituire la santa chiesa, nella quale, come nella casa del Dio vivente, tutti i fedeli fossero raccolti dal vincolo della stessa fede e della medesima carità. Perciò, prima di essere glorificato, egli pregò il Padre non solo per gli apostoli, ma anche per quelli che avrebbero creduto in lui attraverso la loro parola, affinché tutti fossero uno, come il Figlio stesso e il Padre sono uno (34). Così dunque egli mandò gli apostoli, che si era scelto dal mondo (35), allo stesso modo che era stato mandato dal Padre (36), così volle che nella sua chiesa vi fossero dottori e pastori fino alla fine del mondo (37).
Perché, poi, l’episcopato stesso fosse uno ed indiviso e la moltitudine di tutti i credenti fosse conservata nell’unità della fede e della comunione attraverso la coesione dei sacerdoti, prepose il beato Pietro agli altri apostoli, e costituì in lui il principio perpetuo e il fondamento visibile di questa duplice unità. Sulla sua fermezza si sarebbe costruito il tempio eterno e sulla saldezza della sua fede si sarebbe elevata la chiesa la cui altezza deve toccare il cielo (38).
E poiché le porte dell’inferno, con odio ogni giorno sempre maggiore, da ogni parte insorgono contro il fondamento divinamente posto della chiesa, per rovesciarla, se fosse possibile; noi, con l’approvazione del sacro concilio, crediamo necessario, per la custodia, la salvaguardia e l’aumento del gregge cattolico, proporre a tutti i fedeli, secondo l’antica e ininterrotta fede della chiesa universale, perché la credano e la professino, la dottrina della istituzione, perpetuità e natura del sacro primato apostolico, su cui poggia la forza e la solidità di tutta la chiesa, e condannare e proscrivere gli errori contrari, tanto pericolosi per il gregge del Signore.
Capitolo I.
L’istituzione del primato apostolico nel beato Pietro.
Insegniamo, dunque, e dichiariamo che, secondo le testimonianze dell’evangelo, il primato di giurisdizione su tutta la chiesa di Dio fu promesso e conferito immediatamente e direttamente al beato apostolo Pietro da Cristo signore. Infatti al solo Simone - cui aveva già detto: Tu sarai chiamato Cefa (39) - dopo che egli ebbe professato la sua confessione con le parole: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente, si rivolse il Signore con queste solenni parole: Sei beato, Simone, figlio di Giovanni, poiché non la carne o il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. Io, quindi, ti dico che tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli. Qualsiasi cosa tu legherai sulla terra, sarà legata anche nei cieli; e qualunque cosa scioglierai sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli (40).
Al solo Simone Pietro, inoltre, dopo la resurrezione, Gesù conferì la giurisdizione di sommo pastore e rettore su tutto il suo ovile, dicendo: Pasci i miei agnelli; pasci le mie pecore (41). A questa dottrina così chiara delle sacre scritture, com’è stata sempre intesa dalla chiesa cattolica, si oppongono apertamente le false opinioni di coloro che, fraintendendo la forma di governo istituita da Cristo signore nella sua chiesa, negano che il solo Pietro, rispetto agli altri apostoli, sia presi singolarmente che tutti insieme, abbia ricevuto un vero e proprio primato di giurisdizione da Cristo; o quanti affermano che questo primato immediatamente e direttamente sarebbe stato conferito non allo stesso beato Pietro, ma alla chiesa e, per mezzo di essa, a lui, come a suo ministro.
Perciò se qualcuno dirà che il beato apostolo Pietro non è stato costituito da Cristo signore, principe di tutti gli apostoli e capo visibile di tutta la chiesa militante; ovvero che egli direttamente ed immediatamente abbia ricevuto dal signore nostro Gesù Cristo solo un primato d’onore e non di vera e propria giurisdizione: sia anatema.
Capitolo II.
La perpetuità del primato di Pietro nei romani pontefici.
Ma ciò che il principe dei pastori e pastore supremo del gregge, il signore Gesù Cristo, ha istituito nel beato apostolo Pietro a perpetua salvezza e perenne bene della chiesa, deve per volontà dello stesso Cristo, durare per sempre nella chiesa, che, fondata sulla pietra, resterà incrollabile fino alla fine dei secoli (42).
Nessuno, a questo proposito, ignora, anzi è noto da secoli a tutti, che il santo e beatissimo Pietro, principe e capo degli apostoli, colonna della fede e fondamento della chiesa cattolica, ha ricevuto le chiavi del regno da nostro signore Gesù Cristo, salvatore e redentore del genere umano: Pietro vive, presiede ed esercita il suo giudizio fino al presente e per sempre nei suoi successori, ossia nei vescovi della santa sede di Roma, da lui fondata e consacrata dal suo sangue (43). Sicché chiunque gli succede in questa cattedra, per disposizione dello stesso Cristo, ha il primato di Pietro su tutta la chiesa. Rimane, allora, ciò che ha disposto la verità, e il beato Pietro, perseverando nella solidità di pietra, che ha ricevuto, non ha lasciato la guida della chiesa che gli fu affidata (44). Per questo motivo ogni chiesa - cioè tutti i fedeli di ogni luogo - dovette sempre concordare con la chiesa Romana in forza della sua origine superiore, affinché in quella sede, da cui emanano su tutti le norme della veneranda comunione, come membra unite nel capo, esse si unissero nella compagine di un solo corpo (45).
Se, quindi, qualcuno dirà che non è per istituzione dello stesso Cristo signore, cioè per diritto divino, che il beato Pietro ha sempre dei successori nel primato su tutta la chiesa; o che il Romano pontefice non è successore del beato Pietro in questo primato: sia anatema.
Capitolo III.
Valore e natura del primato del Romano pontefice.
Basandoci, perciò, sulle chiare testimonianze delle sacre scritture, e seguendo gli espliciti decreti sia dei nostri predecessori Romani pontefici, che dei concili generali, rinnoviamo la definizione del concilio ecumenico di Firenze (46), secondo la quale tutti i cristiani devono credere che "la santa sede apostolica e il Romano pontefice hanno il primato su tutta la terra; e che lo stesso pontefice Romano è successore del beato Pietro, principe degli apostoli, e vero vicario di Cristo, capo di tutta la chiesa, padre e maestro di tutti i cristiani. Che al beato Pietro, inoltre, è stato dato dal signore nostro Gesù Cristo il pieno potere di pascere, reggere e governare la chiesa universale, come si legge negli atti dei concili ecumenici e nei sacri canoni".
Insegniamo, perciò, e dichiariamo che la chiesa Romana, per disposizione del Signore, ha un primato di potere ordinario su tutte le altre; e che questa potestà di giurisdizione del Romano pontefice, essendo veramente episcopale, è immediata: quindi i pastori e i fedeli, di qualsiasi rito e dignità, sia considerati singolarmente che nel loro insieme, sono tenuti al dovere della subordinazione gerarchica e della vera obbedienza verso di essa, non solo in ciò che riguarda la fede e i costumi, ma anche in ciò che riguarda la disciplina e il governo della chiesa sparsa su tutta la terra. Di modo che, conservando l’unità della comunione e della professione della stessa fede col Romano pontefice, la chiesa di Cristo sia un solo gregge sotto un solo sommo pastore (47). Questa è la dottrina della verità cattolica, dalla quale nessuno può allontanarsi senza mettere in pericolo la fede e la salvezza.
Questa potestà del sommo pontefice è lontana dal recare pregiudizio alla potestà ordinaria ed immediata della giurisdizione episcopale - in virtù della quale i vescovi, che per disposizione dello Spirito santo successero agli apostoli, in qualità di veri pastori, pascono e governano ciascuno il gregge a lui affidato -. Anzi tale potere è asserito, rafforzato e rivendicato dal pastore supremo ed universale, secondo il detto di S. Gregorio Magno: "il mio onore è l’onore della chiesa universale. Mio onore è il solido vigore dei miei fratelli. Allora io mi sento veramente onorato, quando ad ognuno di essi non si nega l’onore dovuto" (48).
Da questa potestà suprema del Romano pontefice di governare tutta la chiesa consegue che egli ha il diritto di comunicare liberamente, nell’esercizio del suo ufficio, coi pastori e con i fedeli di tutta la chiesa, per poterli istruire e governare nella via della salvezza. Condanniamo, quindi, e riproviamo le opinioni di quanti affermano che si possa lecitamente impedire questa comunicazione del capo supremo con i pastori e con i fedeli, o che essa debba sottostare al potere secolare; pretendendo che quello che viene stabilito dalla sede apostolica o per sua autorità per il governo della chiesa, non ha efficacia e valore, se non è confermato dal "placet" della potestà secolare.
E poiché, secondo il diritto divino del primato apostolico, il Romano pontefice è preposto a tutta la chiesa, insegniamo anche e dichiariamo che egli è il giudice supremo dei fedeli (49), e che in qualsiasi causa riguardante la giurisdizione ecclesiastica, si può ricorrere al suo giudizio (50). Nessuno, invece, potrà riesaminare un giudizio pronunziato dalla sede apostolica - di cui non vi è autorità maggiore -, come a nessuno è lecito giudicare di un giudizio dato da essa (51). Quindi, quelli che affermano essere lecito appellare dalle sentenze dei Romani pontefici al concilio ecumenico, come ad una autorità superiore al Romano pontefice, sono lontani dal retto sentiero della verità.
Perciò se qualcuno dirà che il Romano pontefice ha solo un potere di vigilanza o di direzione, e non, invece, la piena e suprema potestà di giurisdizione su tutta la chiesa, non solo in materia di fede e di costumi, ma anche in ciò che riguarda la disciplina e il governo della chiesa universale; o che egli ha solo una parte principale, e non, invece, la completa pienezza di questa potestà; o che essa non è ordinaria ed immediata, sia su tutte le singole chiese, che su tutti i singoli pastori: sia anatema.
Capitolo IV.
Il magistero infallibile del Romano pontefice.
Il primato apostolico, che il Romano pontefice ha su tutta la chiesa come successore di Pietro, principe degli apostoli, comprende pure la suprema potestà di magistero: questa santa sede l’ha sempre ritenuto, l’uso perpetuo della chiesa lo comprova e lo dichiararono gli stessi concili ecumenici, specialmente quelli in cui l’Oriente conveniva con l’Occidente nell’unione della fede e della carità.
Infatti i padri del concilio Costantinopolitano IV, seguendo le orme dei predecessori, emisero questa solenne professione: "Prima condizione per la salvezza è quella di custodire la norma della retta fede. E poiché non si può trascurare la espressione del signore nostro Gesù Cristo, che dice: Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa (52), questa affermazione si verifica nei fatti, perché nella sede apostolica la religione cattolica è stata sempre conservata pura e la dottrina santa tenuta in onore. Non volendo separarci affatto, perciò, da questa fede e dottrina, speriamo di essere nell’unica comunione che la sede apostolica predica, nella quale è la intera e vera solidità della religione cristiana" (53).
Con l’approvazione del concilio II di Lione, inoltre, i Greci professarono: "La santa chiesa Romana ha il sommo e pieno primato e principato su tutta la chiesa cattolica. Essa riconosce veramente ed umilmente di averlo ricevuto, con la pienezza del potere, dallo stesso Signore nel beato Pietro, principe e capo degli apostoli, di cui il Romano pontefice è successore. E come più degli altri ha il dovere di difendere la verità della fede, così, se sorgessero dispute sulla fede, devono essere decise secondo il suo giudizio" (54). Finalmente il concilio di Firenze ha definito che "il pontefice Romano è vero vicario di Cristo, capo di tutta la chiesa, padre e maestro di tutti i cristiani; a lui, nel beato Pietro, è stato dato dal signore nostro Gesù Cristo il pieno potere di reggere e governare la chiesa universale" (55).
I nostri predecessori hanno sempre lavorato indefessamente per soddisfare a questo loro dovere pastorale, affinché la salutare dottrina di Cristo fosse propagata presso tutti i popoli della terra. E con uguale sollecitudine vigilarono perché, una volta ricevuta, fosse conservata incontaminata e pura.
Perciò, i vescovi di tutto il mondo, o singolarmente, o raccolti in concili, seguendo la lunga consuetudine delle chiese e la forma dell’antica regola, riferirono a questa sede apostolica i pericoli che si manifestavano specialmente nelle cose della fede, perché si corresse al riparo dei danni per la fede, particolarmente là dove la fede non può soffrire alcun danno (56).
E i Romani pontefici, da parte loro, come consigliava la condizione dei tempi e delle circostanze, ora convocando concili ecumenici o cercando di conoscere il parere della chiesa sparsa nel mondo, ora con sinodi particolari, ora servendosi di altri mezzi che la divina provvidenza offriva, definirono quei punti di dottrina che si dovessero ritenere e che, con l’assistenza divina, avevano giudicato conformi alle sacre scritture e alle tradizioni apostoliche.
Infatti ai successori di Pietro è stato promesso lo Spirito santo non perché per sua rivelazione manifestassero una nuova dottrina, ma perché con la sua assistenza custodissero santamente ed esponessero fedelmente la rivelazione trasmessa dagli apostoli, cioè il deposito della fede. La loro dottrina apostolica è stata accolta da tutti i venerati padri, rispettata e seguita dai santi dottori ortodossi: perché essi sapevano benissimo che questa sede di Pietro rimane sempre immune da ogni errore, conforme alla promessa divina del Signore, nostro salvatore, fatta al principe dei suoi apostoli: Io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno. Tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli (57).
Perciò questo carisma di verità e di fede - che non verrà mai meno - è stato dato divinamente a Pietro e ai suoi successori che siedono su questa cattedra, perché esercitassero questo loro altissimo ufficio per la salvezza di tutti; perché l’intero gregge di Cristo, allontanato da essi dall’esca avvelenata dell’errore, fosse nutrito col cibo della dottrina celeste, e, eliminata ogni occasione di scisma, tutta la chiesa fosse conservata una, e poggiando sul suo fondamento, si ergesse, incrollabile, contro le porte dell’inferno.
Ma poiché in una età in cui questa salutare efficacia dell’ufficio apostolico è più che mai necessaria, vi sono non pochi che disprezzano la sua autorità, crediamo assolutamente necessario affermare solennemente la prerogativa, che l’unigenito Figlio di Dio si è degnato congiungere col supremo ufficio pastorale.
Noi, quindi, aderendo fedelmente ad una tradizione accolta fin dall’inizio della fede cristiana, a gloria di Dio, nostro salvatore, per l’esaltazione della religione cattolica e la salvezza dei popoli cristiani, con l’approvazione del santo concilio, insegniamo e definiamo essere dogma divinamente rivelato che il Romano pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando, adempiendo il suo ufficio di pastore e maestro di tutti i cristiani, in virtù della sua suprema autorità apostolica definisce che una dottrina riguardante la fede o i costumi dev’essere ritenuta da tutta la chiesa, per quell’assistenza divina che gli è stata promessa nel beato Pietro, gode di quella infallibilità, di cui il divino Redentore ha voluto dotata la sua chiesa, allorché definisce la dottrina riguardante la fede o i costumi. Quindi queste definizioni sono irreformabili per virtù propria, e non per il consenso della chiesa.
Se poi qualcuno - Dio non voglia! - osasse contraddire questa nostra definizione: sia anatema.
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