Duemila persone, domenica scorsa, si sono radunate – previa marcia con cartelli, striscioni e fischietti – davanti alla cattedrale di San Gallo, dove abita e lavora il vescovo Markus Büchel, che è anche presidente della Conferenza episcopale svizzera. La marcia di protesta aveva anche un titolo, "Basta!", e l'oggetto dell'ira dei manifestanti era il vescovo di Coira, mons. Vitus Huonder, accusato di essere un "conservatore" paralefebvriano che "discrimina divorziati risposati, omosessuali e concubini".
Al vescovo Büchel hanno così chiesto di intervenire al più prestoe di coinvolgere nella vicenda addirittura il Papa, in modo da porre fine alla situazione che tanta sofferenza arrecherebbe al popolo fedele. Mons. Büchel è sceso in piazza, ha incontrato la folla e ha invitato tutti al dialogo, ringraziando altresì i manifestanti "che si sono impegnati per la loro Chiesa". Ha anche preso in consegna il cahier de doléances messo nero su bianco dagli organizzatori della marcia, un elenco di richieste che guardacaso risponde perfettamente alle tante attese di cui ha dato conto l'articolata sintesi elaborata dalla Conferenza episcopale elvetica emerse nell'indagine presinodale – che ha avuto una notevole eco, anche perché tutti potevano rispondere al questionario, compresi fedeli di altre confessioni religiose e perfino non credenti.
Innanzitutto, i duemila manifestanti esigono che in tempi rapidi venga nominato un amministratore diocesano da affiancare al vescovo di Coira, e che possibilmente si tratti di un pastore "che abbia la fiducia dei fedeli e che dia una nuova speranza alla diocesi". In secondo luogo, è considerato inammissibile "che mons. Huonder critichi pubblicamente quei fedeli che hanno fatto uso della pillola anticoncezionale o dei preservativi". Infine, ed è questo il punto cruciale di tutta la vicenda, si auspica che "il pensiero, la parola o l'azione ecclesiale non causino mai esclusione o discriminazione". Se non fosse chiaro dove gli organizzatori della protesta volessero andare a parare, ecco il passaggio dove si sottolinea la speranza che "dagli esiti della consultazione sinodale sulla famiglia siano tratte conseguenze concrete e incoraggianti".
Mons. Buechel ha riconosciuto quanto "la manifestazione dimostri che l'unità è ripetutamente messa alla prova" e che "le divisioni e le tensioni attraversano le confessioni e anche la Chiesa cattolica". Il problema è che alte sono ormai le attese in vista dell'appuntamento sinodale sulla famiglia, soprattutto in quelle realtà dove di pastorale familiare se n'è vista ben poca. Si tratta di quelle aree che in modo più veemente reagirono all'Humanae Vitae di Paolo VI e che ben poco misero in pratica di quanto contenuto nella Familiaris Consortiodi Giovanni Paolo II: Germania, Svizzera, Austria, Paesi Bassi, Belgio.
Attese riposte soprattutto nei confronti del Papa, e non a caso i manifestanti anti Huonder chiedono che Francesco venga messo al corrente della situazione, convinti dunque che il Pontefice non possa che disapprovare in toto il comportamento del vescovo conservatore che non ammette all'eucaristia i divorziati risposati e che tuona dal pulpito contro l'uso della pillola anticoncezionale. Posizioni "che suscitano inquietudine", secondo gli organizzatori della marcia, dal momento che Huonder osa "discriminare i divorziati risposati e i cattolici che utilizzano la pillola e i preservativi". Anche loro evocano misericordia, rifacendosi implicitamente a quanto scritto dal cardinale Walter Kasper nella sua relazione concistoriale sulla famiglia e ribadito nel libro "Il Vangelo della Famiglia" (Queriniana) che – oltre a pubblicare il testo presentato davanti ai cardinali riuniti a Roma lo scorso febbraio – è corredato da ulteriori contribuiti volti a focalizzare meglio il problema. In uno di questi, pubblicato martedì sull'Osservatore Romano, Kasper scriveva che "ci sono grandi aspettative nella Chiesa" e benché "non possiamo rispondere a tutte le attese", qualcosa andrà fatto: "Se ripetessimo soltanto le risposte che presumibilmente sono state già da sempre date, ciò porterebbe a una pessima delusione. Non possiamo farci guidare da un'ermeneutica della paura". Ecco perché, aggiungeva il presidente emerito del Pontificio consiglio per l'Unità dei cristiani, "sono necessari coraggio e soprattutto franchezza biblica. Se non lo vogliamo, allora non dovremmo tenere alcun Sinodo sul nostro tema".
E d'accordo con Kasper è anche il neopresidente della conferenza episcopale tedesca, eletto mercoledì mattina al quarto scrutinio, Reinhard Marx. Una scelta che non ammette interpretazioni circa la linea che l'episcopato di Germania terrà in vista degli appuntamenti sinodali di ottobre e del prossimo anno. Proprio il cardinale Marx (in ascesa costante a Roma, dove da poco è stato nominato coordinatore del Consiglio per l'Economia) era stato il primo ad accusare pubblicamente, davanti ai vescovi della Baviera riuniti a Frisinga, il collega Gerhard Ludwig Müller, prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, di voler "chiudere un dibattito avviato da altri". Oggetto del contendere, il lungo articolo del custode dell'ortodossia cattolica apparso sull'Osservatore Romano del 22 ottobre scorso in cui si chiudeva ogni possibilità al riaccostamento dei divorziati risposati ai sacramenti. Marx aggiungeva che "una risposta a quei fedeli andrà data" nonostante i "numerosi tentativi" (così si è espresso Kasper) di frenare la discussione ormai avviata. Solo un paio di settimane fa, poi, lo stesso arcivescovo di Monaco auspicava che la relazione del teologo tedesco già allievo di Hans Küng fosse resa nota al più presto, "in modo da coinvolgere nel dibattito i teologi". Dopotutto, aggiungeva, "il suo fondamento teologico è incontestabile".
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