Però è proprio dal Calvario che si diparte la speranza. Il mondo può cambiare. E noi che siamo ammalati o che pure siamo vittime di tante sofferenze morali, noi possiamo contribuire a cambiare il mondo. Con grande fiducia, appoggiando il nostro capo sul capo di Gesù che rantola sulla croce.
Il Calvario è lo scrigno nel quale si concentra tutto l'amore di Dio
Quando io sento dire che la croce, manifestazione suprema dell' amore di Dio, è una crudeltà che ha inventato il Signore... quando sento dire che non deve il Signore far soffrire coloro che per amore ha creato... quando sento dire qualche volta che il Signore è duro con noi... io mi sento male, perché non è così.
La croce è la manifestazione, è l'epifania più alta dell' amore di Dio per noi. Ha mandato Suo Figlio sulla croce perché ci togliesse tutti i nostri peccati, ci redimesse, ci rendesse puri.
Anche noi, sulla nostra croce rendiamo più pura l'umanità e più buono il mondo. Anche il letto del nostro dolore dovrebbe essere fontana di carità. Ognuno dovrebbe dire: «Signore, io non soltanto mi affido a Te e sono felice di partecipare a questa operazione della carità in cooperativa con Te, ma Ti ringrazio di questo privilegio. Perché tra gli operai scelti, Tu hai preso proprio me. Mi hai chiamato per nome perché io collabori con la Tua opera di salvezza. Grazie perché il mio letto di dolore è fontana di carità, è sorgente di amore. Di amore per Te, ma anche di amore per tutti i fratelli».
Ecco perché noi dovremmo prendere coscienza dei valori di cui siamo portatori. La mulattiera del Calvario, cioè la strada che porta da Gerusalemme al Calvario è lunga, però finiremo di percorrerla. Non durerà per sempre. E sperimenteremo, come Cristo, l'agonia del patibolo, ma «per tre ore», non per molto. Coraggio! La nostra esistenza non è inutile. Il nostro dolore alimenta l'economia sommersa della grazia. Sì, ci sarà da qualche parte un immenso deposito della grazia. La nostra sofferenza alimenta, rigonfia l'otre della grazia perché poi si riversi sul mondo in un empito di carità.
E capiremo che il nostro martirio non è stato un assurdo, una crudeltà di Dio, una sua ingerenza nella nostra storia disturbata dal dolore. Invece il nostro martirio, la nostra sofferenza ha alimentato il fiume della redenzione raggiungendo i più remoti angoli della terra. Il nostro dolore è come un rigagnolo che va ad ingrossare il fiume del sangue di Cristo. Il Calvario non è soltanto la fontana della Carità, ma anche la sorgente della Speranza.
Quante sofferenze ci sono!
Però è proprio dal Calvario che si diparte la speranza. Il mondo può cambiare. E noi che siamo ammalati o che pure siamo vittime di tante sofferenze morali, noi possiamo contribuire a cambiare il mondo. Con grande fiducia, appoggiando il nostro capo sul capo di Gesù che rantola sulla croce. Io vorrei tanto che ognuno di noi sentisse questa vicinanza con Gesù Cristo, questa passione, questo rantolo del suo respiro nelle sue orecchie. Il mondo cambia, il mondo cambierà, il mondo sta cambiando. È incredibile quello che sto dicendo, però, vedete, le ragioni del nostro pianto non hanno più motivo per esistere. La risurrezione di Gesù ha disseccato tutte le sorgenti del pianto. E tutte le lacrime che si trovano in circolazione nel mondo sono come gli ultimi scoli delle tubature dopo che hanno chiuso l'acquedotto. Le lacrime che gorgogliano ancora negli occhi degli uomini sono come quest'ultimo rimasuglio delle tubature.
Riconciliamoci con la speranza. Arriva la Pasqua: frantumi il nostro peccato, frantumi le nostre disperazioni. Ci faccia vedere le tristezze, le malattie, la nostra confusione, il nostro fallimento, il nostro smacco, il nostro buco (perché potrebbe sembrare che abbiamo bucato nella vita)... ci faccia vedere perfino la morte dal versante giusto, dal versante della risurrezione, che è il versante della speranza.
Il Calvario non è soltanto la fontana della Carità. Non è solo l'acquedotto della Speranza, ma è anche la sorgente della Fede.
Per quale motivo?
Fede significa abbandono: «Padre mio mi abbandono a te».
Sul Golgota Gesù ha compiuto l'atto supremo di fede nei confronti del Padre. Sul Golgota risplende la fede di Maria che, quando Gesù emette l'ultimo sospiro, rimane l'unica a illuminare la terra per tutto il venerdì e il sabato santo. Bene, è il luogo della fede, il Calvario. Ma anche per noi il nostro piccolo calvario, quello che si racchiude nel perimetro di quattro pareti, deve essere il luogo della fede, della fiducia, del nostro abbandono in Dio.
C'è una preghiera molto bella di Charles de Foucault, che traduce questo abbandono.
«Padre mio, io mi abbandono a Te. Fa' di me ciò che ti piace. Qualsiasi cosa Tu faccia io Ti ringrazio! Sono pronto a tutto, purché la Tua volontà sia fatta in me e in tutte le tue creature. lo non desidero altro, mio Dio! Rimetto la mia anima nelle Tue mani, Te la dono, mio Dio, con tutto l'amore del mio cuore, perché Ti amo. Ed è per me una necessità di amore donarmi e rimettermi nelle Tue mani, senza misura, con infinita fiducia, perché Tu mi sei Padre».
È una preghiera che sa di gioia, di luce, di pace, di conforto non soltanto per noi, ma anche per coloro che stanno bene e non hanno problemi. Non rassegnamoci. Consegnamoci, se mai. Il Venerdì Santo è il giorno della consegna: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito».
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