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martedì 4 marzo 2014

AGONIA DEL MONDO MODERNO

SI SI NO NO 
Bollettino del Centro Cattolico Studi Antimodernisti S. Pio X, via Madonna degli Angeli, 14, 00049 Velletri (Roma) - tel 06-963.55.68, fax 06-963.69.14 - ccp 60226008 


AGONIA DEL MONDO MODERNO & RIMEDI TEOLOGICI (3)

IL FALLIMENTO DEL DEMOCRATISMO

Bisogna anzitutto distinguere la democrazia classica secondo la dottrina politica di Aristotele e San Tommaso dal democratismo moderno nato con Rousseau.

La democrazia classica

Democrazia classica è il governo della sanior pars di tutta la cittadinanza nei piccoli Paesi con il riconoscimento che l’autorità viene dall’alto e non dal popolo, il quale è solo un canale che trasmette l’autorità a chi è scelto e poi la detiene abitualmente.

San Tommaso[1] insegna che le possibili forme di governo sono tre: monarchia, aristocrazia, politeìa (oggi ‘democrazia’ classica, essenzialmente diversa dal ‘democratismo’ moderno di Rousseau). Egli considera la monarchia (governo di uno solo)come la prima forma di governo che, però, può degenerare in tirannia. La seconda forma di governo considerata dall’Aquinate è l’ aristocrazia (governo dei migliori) che può degenerare in oligarchia, ossia tirannia di pochi. La terza forma è la politeìa (governo dei magistrati o dei cittadini/militari) o timocrazia (governo in cui le cariche sono assegnate in base all’onore e alla forza della sanior pars populi), la quale può degenerare in democratismo o democrazia moderna (tirannia del popolo). Oggi, in luogo dipoleitìa o timocrazia, è prevalso l’uso della parola democrazia – che per i classici e gli scolastici aveva già di per sé una valenza negativa – la quale può degenerare in demagogia, come si dice comunemente oggi.



Il democratismo moderno

Il democratismo moderno ritiene che l’autorità venga dal popolo e sia data a chi governa come delegato e rappresentante del popolo, il quale la può togliere come e quando vuole. Nel democratismo moderno il popolo prende il posto di Dio: esso è una forma di panteismo politico.

I tre dogmi su cui si fonda il democratismo di Rousseau sono: 1°) la bontà dell’uomo (con la negazione del peccato originale); 2°) l’ eguaglianza assoluta (con la negazione della gerarchia degli enti); 3°) il naturalismo razionalista (con la negazione dell’ordine soprannaturale e dell’aldilà). A partire da questi tre princìpi egli tira le conclusioni sociali e fonda una filosofia politica democraticistica, naturalistica, egualitarista.

L’uomo è infallibile e autonomo, è legge a se stesso. È la religione o il culto dell’uomo messo al posto di Dio, che si fa adorare come se fosse Dio; in breve è la via aperta alla grande apostasia e al regno dell’ anticristo finale. È la volontà del numero e il primato della quantità che rende legale ciò che vuole, anche l’atto più odioso e ripugnante (per esempio, l’aborto). La verità non è più oggettiva, ma relativa al numero e alla maggioranza. L’inferiore giudica il superiore e lo comanda, l’ignoranza insegna alla sapienza, l’umano usurpa la divinità, la terra prende il posto del cielo: in breve è la contraddizione stessa sussistente.

Tutto ciò è, però, una grande illusione o menzogna. Il popolo o meglio la massa crede di governare, ma i veri padroni del mondo moderno sono nascosti dietro le quinte dei parlamenti, nella stampa, nella banca, nella setta segreta. È l’ infernale “trinità” del mondo moderno: stampa, banca, massoneria; i suoi sacerdoti sono i parlamentari e la massa fa da chierichetto.



La confutazione di Pio XII

Il 6 aprile del 1951 Pio XII tenne un Discorso ai dirigenti del Movimento Universale per una Confederazione Mondiale, in cui espone e confuta i “tre dogmi” della “politica” antropocentrica modernistica.



• Il potere viene da Dio

Secondo la tesi erronea del democratismo moderno il potere viene dal popolo, cioè dal basso e non da Dio o dall’Alto. Invece il potere viene da Dio, Causa prima e fonte di ogni cosa, ed è trasferito dagli elettori all’eletto come l’acqua che attraverso un canale viene dalla fonte (Dio), e non dal canale (popolo), e giunge al Governante che lo possiede e non ne ha solo l’uso. Solo se colui che governa diventa tiranno o governa non per il bene comune, allora la sanior pars populi può ritirargli de facto il potere che de jure già Dio non gli accorda più, poiché è esercitato contro Dio e la sua Legge.

Gli uomini e le famiglie per vivere assieme e virtuosamente devono necessariamente avere un Governante, un’Autorità. Perciò la Società civile è divisa in Governanti che devono comandare (far leggi, farle rispettare e castigare chi le vìola) e sudditi che devono obbedire. Il vero Sovrano, però, è Dio e non la volontà popolare, che al massimo può scegliere un Governante al quale il potere deriva remotamente da Dio attraverso il popolo, che funge da canale in maniera prossima.

Dopo il peccato originale l’uomo è soggetto all’ignoranza e all’errore. Solo Dio e il Magistero della Chiesa, quando quest’ultimo vuol definire e obbligare a credere una verità di Fede o di Morale, sono infallibili. Il popolo elettore non partecipa dell’ infallibilità divina, come invece ne partecipa il Magistero pontificio o universale in determinate condizioni. Nessuno ha mai promesso l’ infallibilità al popolo, tranne i demagoghi e i modernisti, i quali si sono serviti per i loro interessi delle decisioni che hanno fatto prendere alla massa manovrata da loro, rifugiandosi dietro il paravento dell’ infallibilità dell’ elettorato popolare.



• Popolo e massa

Pio XII insiste molto sulla distinzione tra “popolo” e “massa”. Il “popolo vive e si muove di vita propria” (Pio XII, Radiomessaggio al mondo intero, 24 dicembre 1944), ha una forma, un atto, un essere, una vita sua; invece “la massa è moltitudine amorfa” o senza forma o principio di vita, materia passiva, indeterminata, senza atto o perfezione. Il Papa continua: “la massa è di per sé inerte, e non può essere mossa che dal di fuori. Il popolo vive della pienezza di vita degli uomini che lo compongono”. Perciò il popolo è costituito da uomini intelligenti e liberi, che hanno princìpi e convinzioni, sono padroni di se stessi e conoscono i loro obblighi e diritti; mentre la massa è pura potenzialità che viene mossa e diretta da qualcuno al di fuori di essacome un carro trascinato dai buoi. Essa è composta da entità “sub-umane” prive di convinzioni proprie, di princìpi, di una sana morale, senza iniziativa propria; perciò vive di istinti, passioni e sentimenti sregolati senza alcuna subordinazione alla ragione e alla libera volontà. L’uomo facente parte della massa non è “l’animale razionale” aristotelico, ma “l’animale sensitivo” della post-modernità nichilistica, la quale con lo scoppio del Sessantotto ha reso l’uomo una “pecora matta”, che – come diceva nel 1944 Pio XII – “è un facile trastullo nelle mani di chiunque ne sfrutti gli istinti o le impressioni sensibili” (Radiomessaggio al mondo intero, 24 dicembre 1944). In conclusione il popolo non è la maggioranza quantitativa, ma è la parte qualitativamente migliore della Società (sanior pars populi). Il democratismo moderno non ha nulla a che vedere con l’idea aristotelica e tomistica di sana democrazia classica, che è la popolazione di un Paese dotata di forte personalità individuale e sociale.



• Il culto cieco del valore numerico

Pio XII ricorda che, se il popolo non è per se stesso infallibile, la massa quasi sicuramente erra, priva com’è di convincimenti, di vera libertà e schiava dell’opinione pubblica, che è manipolata dai burattinai, i quali tirano i fili che fanno muovere i burattini. Ora, ci si può chiedere: il suffragio universale del democratismo esprime la volontà della massa manovrabile e manovrata o quella del popolo o sanior pars Societatis? Il popolo è una Società civile, organica, viva e vivente, gerarchica come ogni corpo, ordinata, non appiattita e livellata, in cui le differenze formano l’armonia e la bellezza (immaginatevi una mano le cui cinque dita siano tutte eguali: sarebbe mostruosa!). Perciò, quando tutti possono pronunciarsi con lo stesso valore su ogni cosa e quando i pareri espressi valgono tutti allo stesso modo, de facto questo sistema esprime la volontà della massa e non della sanior pars populi. La votazione più celebre della storia umana è quella che condannò a morte Gesù e liberò Barabba. Durante il processo di Gesù alcuni degli Scribi e dei Sacerdoti erano contrari alla sua condanna, lo stesso Pilato lo era, ma la massa aizzata dal Sinedrio votò a maggioranza la morte di Gesù e la libertà di Barabba. Ciò basta a dimostrare che il sistema del suffragio universale, il quale conferisce alla sola maggioranza numerica o quantitativa, a discapito di quella qualitativa, il diritto di stabilire una legge e di affermare una verità, non rappresenta la volontà dell’ autentico popolo organico e vivo, ma della massa amorfa o informe, pronta ad essere manipolata, come l’argilla da parte del vasaio.

Pio XII stigmatizza questa tendenza e la definisce il “culto cieco del valore numerico”. Il cittadino o civis non conta per quel che è o vale secondo il suo grado di civiltà, ma come quantità, numero o voto o apporto elettorale che rende possibile al “potere”, nel senso deteriore del termine, di continuare a mantenere il consenso ed il governo. Di fronte a questo pericolo verso cui si stava avviando anche l’ Europa, Pio XII cercò di porre riparo proponendo la riaffermazione dei princìpi della filosofia perenne teoretica e sociale e indicando un ordine sociale futuro in cui le istituzioni politiche potessero dipendere non dal “culto cieco del numero”, ma dall’ordine organico e naturale della sanior pars Societatis.

Lo scopo dello Stato è quello di aiutare le famiglie e gli individui che la compongono a conseguire la “vita virtuosa” nella linea tracciata dal Decalogo, il quale soltanto può far conseguire il bene individuale e sociale, privato e comune. La modernità, invece, ha una concezione meccanicistica dello Stato e della politica, ossia l’uomo, la famiglia e la Società civile non sono naturalmente ordinati ad un fine, che è il bene comune naturale, virtuoso e soprannaturale, ma sono come una macchina (v. Cartesio, homme animal machine) non organica o viva, ma studiata e progettata a tavolino (già a partire da Machiavelli, per giungere tramite gli ideologi del 1789 sino al marxismo revisionato e al teo-liberalismo) come un insieme di rotelle o meccanismi, che si muovono non per vita che possiedono dentro se stessi (“vivere est movere seipsum”, Aristotele), ma per un movimento che viene dall’esterno o “etero-diretto”. Nel campo culturale e morale non dominano più i valori oggettivi conformi alla legge naturale e divina, ma la libertà individuale intesa come valore assoluto o fine e non come mezzo per cogliere uno scopo, liberata perciò da ogni vincolo e legge oggettiva.

La quantità non è né può essere il criterio supremo. Ora nella democrazia moderna o democratismo rousseauiano, è il “culto del numero” ossia proprio la quantità dei voti che diventa criterio supremo di verità e di bontà; così se la maggioranza decide che l’aborto è legale, l’infanticidio diventa legge di Stato. Non è la qualità o chi ragiona secondo verità e giustizia, ma il “numero amorfo” a stabilire ciò che è vero e buono!

AGONIA DEL MONDO MODERNO & RIMEDI TEOLOGICI (4)


Il coma del materialismo liberista e bolscevico

Il democraticismo, di cui abbiamo parlato nel numero precedente, è una tappa della Sovversione, il cui moto non si ferma a mezza strada, ma tende all’estremo, che è rappresentato dal comunismo sovietico.

Tra plutocrazia liberistica, democraticismo e bolscevismo, perciò, vi è una differenza accidentale quantitativa e non sostanziale. Sono tre tappe del medesimo cammino sovversivo: il materialismo industrialistico, il materialismo della quantità numerica delle masse e il materialismo del proletariato ovvero il potere della quantità materiale prodotta dalla tecnologia, dal suffragio universale e dalla lotta di classe. Come si vede la sostanza è la medesima: il materialismo; differisce l’ accidentale: industria, suffragio, proletariato. Tutti e tre vogliono il paradiso su questa terra, ma per la plutocrazia liberale deve provenire dall’ industrializzazione della borghesia, per il democraticismo dalla volontà delle masse espressa dal suffragio universale e per il bolscevismo dalla guerra civile e cruenta.

Sembrerà una contraddizione, ma il social-comunismo è figlio “naturale” (anche se non desiderato, ma neppure abortito) del liberismo. Infatti “furono alcuni liberali che, [...] verso il 1820, per reagire contro le palesi ingiustizie del liberismo nei confronti degli operai, iniziarono il movimento socialistico nell’intento di porre un rimedio a tali ingiustizie. Loro punto di partenza fu la costatazione del fatto che la libertà, quale l’aveva concepita il liberalismo, impediva l’uguaglianza tra gli uomini, asservendo il proletario al proprietario. Per questo concentrarono l’attenzione più sull’ uguaglianza (equa ripartizione dei beni) che sulla libertà”[1]. Tuttavia il vero fondatore del socialcomunismo scientifico fu Carlo Marx. Vediamo ora qual è il fondamento filosofico dell’economia marxista.



La filosofia del marxismo

Secondo la filosofia della storia di Hegel il pensiero (‘Idea’) è in continuo movimento, creando oggetti attraverso un’evoluzione e un’attività senza posa. Ogni Idea (tesi) contiene il suo contrario (antitesi) e dal loro equilibrio instabile (tesi-antitesi) nasce una nuova idea (sintesi), che a sua volta sarà travolta da un nuovo vortice “creativo” verso una nuova sintesi e così all’infinito.

Mentre Hegel applicò questa evoluzione al campo dello spirito (Idee; è il cosiddetto evoluzionismo dialettico), Marx lo applicò alla Materia (materialismo dialettico), e alla storia (materialismo storico).

Secondo Marx non l’Idea, ma la Materia è la prima e fondamentale realtà, tutto ciò che esiste è Materia, la quale è in continuo processo evolutivo. Marx passò poi ad applicare la sua teoria materialistica anche alla storia e ne è venuto fuori il materialismo storico, ossia una lettura materialistica della storia, per cui l’economia (mangiare, bere, aver di che vestire e un tetto sotto il quale ripararsi) è l’elemento più importante e reale e determina la Religione, l’Arte e la Politica di ogni epoca storica.

Il fine dell’uomo è soltanto di produrre nel mondo economico e la forza che lo stimola a far ciò è la lotta di classe, la quale è finalizzata a liberare la classe operaia dal suo oppressore, che è il capitale, onde si deve combattere tutto ciò che ostacola la lotta di classe, cioè la Patria, la Famiglia e la Religione. Infatti la Patria divide i proletari che invece debbono unirsi nell’Internazionale, la Religione si fonda sullo spirito, su Dio, mentre esiste solo la materia, e la Morale insegna a rispettare l’altrui proprietà, mentre il marxismo la vuol fagocitare.



Comunismo e Socialismo

Secondo il marxismo bisogna togliere tutti i mezzi di produzione ai capitalisti e darli allo Stato. Per Marx il destino ultimo del capitalismo è il suo collasso per cause interne ad esso, cioè per le contraddizioni che lo caratterizzano. Tuttavia dopo Marx si formarono due fazioni: a) il Socialismo riformista o evoluzionista (il Socialismo), che ripudia la rivoluzione cruenta e propugna la trasformazione della Società mediante riforme e leggi e la statalizzazione della proprietà; b) il Socialismo rivoluzionario o Comunismo (che nel 1917 sfociò nel bolscevismo sovietico) il quale vuol cambiare la Società mediante la rivoluzione cruenta.

Il comunismo, perciò, si distingue dal socialismo solo quanto ai mezzi da adoperare per cogliere lo stesso fine e non quanto alla sostanza. Ecco perché Pio XII ha scomunicato sia il comunismo che il socialismo.

Certo, nella storia – bisogna riconoscerlo – l’economia è uno degli elementi principali: occorre un certo benessere materiale per occuparsi di scienza, arte, virtù: Primum vivere, deinde philosophari. Ma, ammesso ciò, è del tutto esagerato asserire, con Marx, che il fattore economico dominacompletamente la vita sociale dell’uomo, che esso è il fine di ogni azione umana e che pertanto basta da solo a spiegare tutta la storia: “L’uomo non è solo [...] un tubo digerente, un sacco da riempire, ma è anche, e soprattutto, spirito. E la questione sociale non è soltanto una questione materiale [...] ma soprattutto è una questione spirituale, morale. Credere che, accomodato il corpo, riempito lo stomaco, tutto sia messo a posto, significa non conoscere l’uomo, significa [...] professare il più ributtante materialismo, condannato non solo dalla Fede ma anche dalla ragione” [2].

Tale materialismo non è l’essenza solo del socialismo, ma anche del liberismo, secondo il quale il fine dell’ uomo è capitalizzare, produrre, arricchirsi. Come il liberalismo scambia il mezzo (libertà) per il fine (il Sommo Bene), così il liberismo scambia la ricchezza per il Bene infinito, mette Mammona al posto di Dio, il dio ‘Quat-Trino’ al posto del Dio Trino e Uno. Ora, mettere il mezzo al posto del fine (o scegliere la creatura al posto del Creatore) è la definizione stessa del peccato: “aversio a Deo et conversio ad creaturas”. Dunque il liberalismo filosofico e il liberismo ‘economico’ sono un peccato grave, anzi una sorta di idolatria, che adora la libertà assoluta e la ricchezza materiale al posto di Dio. Questo è il grave e tragico errore del liberal-liberismo.



Ingiustizia della teoria marxista

La teoria marxiana del plus-valore è ingiusta ed insostenibile. Essa, essendo materialista, vede solo la quantità del lavoro non la qualità, vede solo il lavoro manuale e materiale, non quello intellettuale e direttivo e perciò nega ogni valore al capitale, che è equiparato al furto, e al lavoro del datore di lavoro. Invece il capitale (= guadagno “sudato col lavoro della propria fronte” e risparmiato perché produca altra ricchezza), data la sua produttività, merita di essere remunerato. Inammissibile è anche la teoria socialista secondo cui il valore delle cose deriva soltanto dal lavoro. Infatti dipende anche da altre condizioni; per esempio il vino migliore viene pagato giustamente più del vino scadente, anche se il produttore ha impiegato lo stesso lavoro per produrli entrambi, così come l’ affresco della cappella Sistina è stato giustamente remunerato di più di una mano di vernice bianca passata da un solerte imbianchino su un’identica superficie.

È altresì ingiusto sostenere, come sostengono i socialisti, che il proprietario non deve ritenere per sé una parte del bene prodotto dagli operai col lavoro manuale. Infatti, nel produrre una cosa, il proprietario coopera mettendo a servizio e a rischio il suo capitale, offrendo all’operaio le materie prime e gli strumenti di lavoro. Compiuto poi il lavoro, l’unica preoccupazione dell’ operaio è di riscuoter la giusta paga, mentre il proprietario deve pensare a vendere il bene prodotto e tutto ciò a suo rischio e pericolo, nel caso che esso rimanga invenduto o sia venduto ad un prezzo inferiore al salario complessivo che deve erogare ai suoi dipendenti. Quindi è falso asserire, come fa Marx, che tutta la produzione appartiene al lavoro o all’operaio e per nulla al capitale o al datore di lavoro.



Sotto apparenze diverse identica sostanza

Léon de Poncins nota come all’origine del liberismo vi sia stato David Ricardo, “un banchiere ebreo inglese, figlio di un banchiere ebreo olandese emigrato a Londra alla fine del XVII secolo”[3] e all’origine del comunismo scientifico vi sia stato “Karl Marx, un ebreo tedesco, che si poneva sullo stesso terreno di Ricardo: il concetto puramente economicistico del mondo, il mercantilismo e l’affaristica”[4]. Ciò conferma che liberismo e comunismo, pur giungendo a conclusioni diverse, hanno come principio e fondamento la stessa filosofia del mondo: il primato dell’affaristica e il materialismo[5].

L’idolatria della macchina produttrice come mezzo per ottenere il paradiso in terra, anche se essa in realtà schiaccia l’uomo sotto l’ inferno dell’industrializzazione e dell’ affaristica, accomuna ulteriormente bolscevismo sovietico[6] e plutocrazia americanista.



Il coma della modernità

Secondo queste ideologie la macchina è riuscita dove Dio avrebbe fallito: dare il benessere e la felicità già su questa terra. L’uomo faber è il padrone o il “dio” del mondo nuovo. Oggi, però, questo mondo è entrato in una paurosa crisi dei suoi valori fondamentali: le ricchezze materiali. L’uomo contemporaneo si trova, così, senza Dio e senza benessere temporale; il suo stato è simile alla pena del danno nell’inferno. È il coma della modernità. Solo Dio può farci uscire da questo letargo con la sua giustizia e la sua misericordia.



La civiltà cristiana non è da inventare

Al punto in cui ci troviamo dobbiamo cooperare con l’onnipotenza divina 1°) lottando contro le forze visibili della Sovversione: materialismo, antropolatria, mercantilismo crematistico, democraticismo, plutocrazia, progressismo, comunismo, anarchismo, e le sue forze nascoste: massoneria, esoterismo, giudaismo talmudico, modernismo[7], occultismo, satanismo; 2°) proponendo un ideale positivo di restaurazione dell’ ordine tradizionale rivoluzionato dalla modernità: la civiltà greco/romana informata dalla spiritualità cattolica: “La civiltà cristiana non è da inventare, ma da restaurare incessantemente contro gli assalti dell’ empietà moderna e contemporanea” (San Pio X).

Il cattolicesimo non conduce solo in cielo, ma ha suscitato la cultura, la civiltà, le opere caritative, la bellezza artistica, la poesia, la filosofia e la teologia già su questa terra.

La crisi attuale, che ci porta al modernismo, al nichilismo, al caos e all’ anarchia, viene da una sorta di dualismo manicheo e gnostico. “L’ ossessione separatista e dualista è propria del laicismo”, scrivevano i vescovi italiani cinquantaquattro anni fa (Episcopato italiano, Il Laicismo, 1960). Secondo il dualismo manicheo esistono due princìpi: uno buono, creatore dello spirito; l’altro malvagio, creatore della materia che sarebbe intrinsecamente cattiva. Ebbene il laicismo o liberalismo, figlio del dualismo gnostico manicheo, ha peggiorato l’errore e lo ha applicato nel dominio socio-politico. Infatti per il liberalismo lo spirito o la Chiesa è il male, mentre la materia o lo Stato è il bene; quindi occorre tenerli assolutamente separati secondo il manicheismo gnostico: “il singolo – scriveva Erik Peterson – deve creare in se stesso il dualismo [ o la separazione di Stato e Chiesa, di materia e spirito] per mezzo della gnosi” [8].

Qualcuno per evitare l’anarchia rivoluzionaria sarebbe tentato di far ricorso al totalitarismo, ma il totalitarismo non è la soluzione del problema politico, anzi ne è una distorsione. Ogni eccesso è un difetto e si può errare sia per difetto sia per eccesso; il totalitarismo rappresenta l’eccesso, mentre la virtù politica consiste nel giusto mezzo della prudenza sociale, che si colloca tra temerarietà e pavidità.

Il vero e unico antidoto al veleno della modernità è il cattolicesimo, il quale, nonostante tutti i limiti degli uomini che ne fanno parte (in membris) e lo rappresentano (in capite), è la sola religione che riesce ad equilibrare azione e contemplazione in subordinazione gerarchizzata.

La modernità, inoltre, ha concepito lo sviluppo dell’umanità in una sorta di progresso costante all’ infinito, diviso in tre epoche (una sorta di “trinità” laica che avrebbe dovuto rimpiazzare la SS. Trinità), delle quali la terza è la più perfetta e definitiva, che tocca l’infinito e l’auto-divinizzazione dell’umanità.

Queste tre epoche sono religione, metafisica e positivismo per Comte; antichità, medioevo ed età moderna per Hegel; nobiltà, borghesia e proletariato per Marx. Tale tripartizione la ritroviamo già in Gioacchino da Fiore: età del Padre (Antico Testamento), età del Figlio (Nuovo Testamento) ed età dello Spirito Santo (Nuovissimo Vangelo), ma fu condannata dalla Chiesa. Infatti, se la terza età fosse quella definitiva, la seconda, ossia il cattolicismo, sarebbe tramontata, finita, passata e per lei non vi sarebbe più speranza (cfr. New Age). Invece “Dopo l’ Incarnazione, secondo la teologia della storia, la storia stessa ruota attorno a questo dilemma: o con Cristo o contro Cristo [...] tertium non datur. Le epoche della storia sono solo due: quella anteriore a Cristo e quella da Cristo in poi. [...] Il Verbo Incarnato non può essere sconfitto dai suoi nemici e il regno di Dio giungerà al suo compimento ultraterreno nonostante i tradimenti e le sconfitte. In una prospettiva del genere, l’epoca moderna e contemporanea può essere compresa solo come un periodo nel quale il principio ostile a Cristo ha pro tempore prevalso (Dio lo ha permesso) ma non ha affatto riportato una vittoria decisiva, nonostante le apparenze, ed anzi, un giorno, quando Dio vorrà, scomparirà [...]. Dal punto di vista della teologia della storia, il tramonto dell’epoca presente è quindi un fatto certo quanto la legge di gravità, se così possiamo esprimerci. [...]. La costellazione che sempre si ripete è la seguente: ribellione, castigo, purificazione, pentimento, vita nuova. Il castigo di Dio è categoria essenziale nella teologia della storia. Egli punisce e salva, nella misura in cui induce gli individui e i popoli al pentimento. Sempre che Dio conceda loro il tempo. [...]. È sicuro, quindi, che su questo mondo così corrotto, si abbatterà un giorno il castigo di Dio. [...]. La decadenza di tutto un mondo comporta un castigo che può essere stornato solo col pentimento e la conversione” [9].

Ma ci si domanda: è ancora possibile ritornare alla vera Civiltà, ad una sana Società, ad una Politica morale, ad un’Autorità giusta? Se umanamente la cosa sembra molto difficile, soprannaturalmente Gesù ha detto: “Non temete, piccolo gregge, Io ho vinto il mondo! ” ed ancora: “Le porte dell’Inferno non prevarranno”, e San Giovanni: “Questa è la nostra vittoria che vince il mondo: la nostra Fede! ” (1a Gv., V, 4). Allora, con la ferma fiducia che il braccio di Dio non si è accorciato, studiamo il problema e viviamo coerentemente con i nostri princìpi, perché l’Ordine e la distinzione nella collaborazione e subordinazione tra Stato e Chiesa, ritornino a vivere non solo nelle nostre intelligenze, ma nella Società.

Infatti l’unica alternativa è la cooperazione dei due poteri ossia la Regalità sociale di Cristo. In essa soltanto vi è l’Ordine e la sana Restaurazione. Come il corpo è sottomesso all’anima e l’uomo (anima e corpo) è sottomesso a Dio, così – socialmente – lo Stato deve essere sottomesso al Potere spirituale, ed entrambi, sottomessi a Dio, indirizzano l’uomo al suo fine ultimo. Dalla loro cooperazione, deriva la maggior facilità di poterlo conseguire, mentre dalla loro separazione deriva la lotta, il caos, il disordine, la Sovversione, che rendono difficile, anzi eroico, vivere secondo la fede, la speranza e la carità, come sperimentiamo oggi.

La Regalità sociale di Cristo rappresenta, perciò, la Resurrezione del mondo moderno, che ha apostatato ed è ricaduto nel pandemonio del paganesimo e può essere salvato solo da Chi per primo ci sollevò dalla rovina del peccato originale, e desidera ancora attrarci a sé dopo la rovina dell’apostasia laicista della modernità.

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