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domenica 18 agosto 2024

Il velo muliebre-"Tradizione Cattolica"



Carissimi amici e amiche,
oggi vi voglio parlare del velo muliebre non riguarda solo le donne. 
(Leggano pure gli uomini perché riguarda anche loro). Vogliamo qui raccontarvi la storia del velo muliebre, tradizione fortissima nella Chiesa per 2000 anni, e di come lo si è troppo facilmente abbandonato. Forse molti lo sapranno già, ma la prima traccia dell’utilizzo del velo muliebre nelle comunità cristiane si trova nel Nuovo Testamento: A riguardo, san Paolo ha scritto (I Corinti, 11, 1-16): «Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo. Vi lodo poi perché in ogni cosa vi ricordate di me e conservate le tradizioni così come ve le ho trasmesse. Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e capo di Cristo è Dio. Ogni uomo che prega o profetizza con il capo coperto, manca di riguardo al proprio capo. Ma ogni donna che prega o profetizza senza velo sul capo, manca di riguardo al proprio capo, poiché è lo stesso che se fosse rasata. Se dunque una donna non vuol mettersi il velo, si tagli anche i capelli! Ma se è vergogna per una donna tagliarsi i capelli o radersi, allora si copra. L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. E infatti non l’uomo deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo. Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza a motivo degli angeli. Tuttavia, nel Signore, né la donna è senza l’uomo, né l’uomo è senza la donna; come infatti la donna deriva dall’uomo, così l’uomo ha vita dalla donna; tutto poi proviene da Dio. Giudicate voi stessi: è conveniente che una donna faccia preghiera a Dio col capo scoperto? Non è forse la natura stessa a insegnarci che è indecoroso per l’uomo lasciarsi crescere i capelli, mentre è una gloria per la donna lasciarseli crescere? La chioma le è stata data a guisa di velo. Se poi qualcuno ha il gusto della contestazione, noi non abbiamo questa consuetudine e neanche le Chiese di Dio». In queste poche righe è presente il cuore della questione. Il tono di san Paolo è chiaro, si tratta di un ordine. Qual è il significato delle sue parole? Come Cristo, secondo la natura umana, ha sopra di sé Dio, così l’uomo ha per capo Cristo e da lui riceve la potestà che esercita sulla donna.La subordinazione della donna, però, non si riferisce né al campo soprannaturale della grazia, perché sotto questo aspetto nulla conta “essere uomo o donna” (Gal. 3, 28); né ai diritti e doveri coniugali, nei quali vi è piena eguaglianza; né al valore intrinseco della personalità, poiché uomo e donna si completano a vicenda (1 Cor. 11, 11); ma si riferisce unicamente al campo sociale e familiare. Di conseguenza, come insegna s. Tommaso, «la donna deve avere il capo coperto quando prega Dio in pubblico, per significare che essa non è direttamente soggetta a Dio, ma è soggetta  all’uomo, nella misura in cui questi è soggetto a Dio». «L’uomo, infatti – precisa S. Agostino – è capo della donna nel modo più ordinato allorquando capo dell’uomo è Cristo, il quale è Sapienza di Dio». Si possono addurre anche altre ragioni. In tantissime culture e civiltà, la donna ostenta i propri capelli, segno di cura, prosperità, bellezza. È quindi naturale coprire tale dono di Dio per enfatizzare la gloria di Dio, Colui al quale dobbiamo la vita e di conseguenza anche la bellezza. Ne è un esempio l’episodio evangelico (Gv 12, 1-8) in cui Maria di Betania, in un atto di estrema adorazione, utilizza i propri capelli per asciugare i piedi di Gesù dopo averli cosparsi di unguenti preziosi. E Gesù la loda per il suo gesto. Perché invece gli uomini devono fare l’azione contraria? Alla ragione addotta sopra da San Tommaso ne possiamo aggiungere un’altra. Nelle varie culture, il copricapo dell’uomo spessissimo lo identifica nel suo status o rango sociale (esercito, clero, divisa da lavoro, corona…). È indice di umiltà per l’uomo rimuovere il segno esteriore della propria importanza davanti a Dio, come indice di umiltà per la donna coprire il suo.
Sempre Tertulliano infatti (II sec.) definisce il velo «giogo della sua umiltà». Da questo punto di vista, entrambi i gesti, sebbene contrari, hanno un significato simile. «Dopo aver elogiato la gloria dell’uomo, Paolo ristabilisce l’equilibrio per non esaltare l’uomo più del dovuto e non abbassare la donna. Nel Signore la donna non è indipendente dall’uomo, ma l’uomo non è indipendente dalla donna. Ciascuno dei due è causa dell’altro, Dio è la causa di entrambi» (s. Giovanni Crisostomo). Continuiamo con la nostra cronistoria. Secondo il Liber pontificalis, papa san Lino (diretto successore di san Pietro) ribadì l’obbligo del velo per tutte le donne «ex auctoritate beati Petri». S. Giovanni Crisostomo (IV secolo) chiama il velo «insegna della sottomissione», mentre il Concilio Gangrense (340 d.C.) lo definisce «memoriale», ricordo della sottomissione. Vorremmo inoltre ricordare che già nella cultura ebraica, e in realtà in tantissime altre culture, si copre ciò che è prezioso, sacro, ad esempio il Santo dei Santi. Nella Messa il calice, fino alla consacrazione, è coperto, così come è coperto il Tabernacolo contenente lo stesso Corpo di Cristo. In questo senso l’utilizzo del velo muliebre dalle donne è una pratica totalmente agli antipodi rispetto al velo islamico (che spesso viene tirato fuori dai detrattori). Per rispettare il comandamento simile al nostro «non guardare la donna d’altri», l’Islam, anziché spingere l’uomo all’auto-controllo e al rispetto della donna, copre queste ultime, degradandole a oggetti. Il velo cattolico (tra l’altro neppure integrale sulla copertura dei capelli e sullo spessore del tessuto, e prescritto solo in chiesa) invece qualifica la donna, le dona dignità e la inserisce all’interno dell’ordine del cosmo.L’ultimo riferimento al velo muliebre nel diritto canonico è nel Codice del 1917, canone 1262: «Viri in ecclesia vel extra ecclesiam, dum sacris ritibus assistunt, nudo capite sint [...] mulieres autem, capite cooperto et modeste vestitae, maxime cum ad mensam Dominicam accedunt» che si traduce in «quando assistono alle sacre funzioni, sia in chiesa che fuori chiesa, gli uomini stiano a capo scoperto, le donne modestamente vestite col capo coperto, specialmente quando si accostano alla mensa eucaristica». E poi è arrivato il Concilio Vaticano II, che non doveva essere dogmatico…eppure ha cambiato tutto. E vediamo come. Durante il concilio Vaticano II, i giornalisti chiesero a Mons. Bugnini se le donne dovessero continuare a coprirsi il capo; e questi rispose che il tema non era stato discusso. I giornalisti interpretarono la sua risposta come un “no” e pubblicarono questa informazione erronea nei loro diversi giornali del mondo intero. Da allora, la maggioranza delle donne cattoliche abbandonarono questa tradizione millenaria. Difatti, nel Codice del 1983 il dovere di coprirsi il capo durante le funzioni liturgiche non viene neanche menzionato. Non si tratta di un’abrogazione esplicita, ma di fatto l’uso del velo è stato abbandonato quasi dappertutto. Nel dubbio su quale legge sia in vigore, l’obbligo in senso stretto non può più essere imposto. In altre parole, non coprirsi il capo non costituisce più materia di peccato (a meno che non sia occasione di scandalo per il prossimo), ma rimane una pratica vivamente consigliata, come, ad esempio, il digiuno di tre ora prima di ricevere l’Eucarestia.È interessante questo meccanismo, per cui molte pratiche della Tradizione cattolica, benché non siano mai state ufficialmente bandite, con abile maestria e nonchalance sono state tolte di mezzo. Vorremmo fare una breve precisazione su cosa sia esattamente il velo muliebre. Nessuna norma ha mai specificato con cosa bisognasse coprirsi. L’importante è appunto entrare in chiesa a capo coperto. Difatti, la maggioranza delle popolazioni cristiane utilizzava scialli, foulard, cappelli. Solo in alcuni paesi (in particolare Spagna e Italia) si è sviluppato un indumento apposito, più prezioso e da utilizzare solo a questo scopo, come ulteriore segno dell’importanza del luogo nel quale si accedeva. Per ulteriore riprova sociale, poi, in Italia si è diffusa la tradizione di utilizzare il bianco per le donne nubili (e quindi vergini), e nero per le donne sposate o vedove. Ci sono poi alcuni vantaggi che molte donne possono riscontrare, derivanti dall’uso del velo muliebre. Ve ne citiamo alcuni:- Portare il velo induce a concentrarsi meglio nella preghiera. Questo segno tangibile ci può infatti fare ricordare meglio in che luogo siamo;- È una forma di apostolato, soprattutto se si supera il rispetto umano e lo si porta con coraggio anche in parrocchie dove nessuna ancora lo fa. È un segno della Tradizione della Chiesa, che può quindi suscitare ulteriori approfondimenti;- Incita a progredire nella modestia: è incoerente portare il velo se ci si veste succintamente o in maniera irrispettosa, e quindi diventa uno stimolo per adeguare il proprio vestiario in maniera consona.Dona decoro alla chiesa e alle funzioni, è quindi utile soprattutto nei luoghi più turistici per far comprendere agli estranei che si tratta di un luogo sacro, di preghiera. Concludiamo questa carrellata con la persona con la P maiuscola alla quale noi donne dovremmo fare sempre riferimento: la Madonna ovviamente. Lei è sempre coperta col velo, è l’Arca della Nuova Alleanza, il Vaso della Vera Vita. Noi donne, usando il velo, la imitiamo e ci confermiamo nel ruolo di donne, cioè vasi di vita.
Ad Jesum per Mariam, ad maiorem Dei gloriam.

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