«Attraverso la celebrazione della santa Messa, che costituiva il cuore di ogni sua giornata e la pienezza della sua spiritualità, raggiunse un elevato livello di unione con il Signore».
Obbedendo all’impulso impetuoso e generoso del suo temperamento, Emanuele Brunatto, sicuro del fatto suo, quale cittadino adottivo di San Giovanni Rotondo, scavalcando ogni procedura protocollare, partì alla volta di Roma, con una valigia contenente due faldoni di documenti, determinato a far pervenire alle autorità della Chiesa, entro il portone di bronzo del Vaticano, i suoi due incartamenti riguardanti il “caso padre Pio”: “All’attivo, le testimonianze dirette e indirette su Padre Pio e i fatti a carattere sovrannaturale che gli erano attribuiti; al passivo, i risultati della sua inchiesta sul Palladino, Prencipe e Gagliardi”. Ascoltiamo da Brunatto stesso la narrazione di come avvenne l’incontro con Don Orione, e come fu accolto, una volta giunto a Roma. “Non conoscevo a Roma che la contessa Silj, parente del Cardinale suo omonimo. La contessa m’indirizzò a Don Luigi Orione, che aveva reputazione di santità e di ottimo conoscitore della Curia Romana. “Andai a vederlo ad Ognissanti, un giorno in cui egli aveva riunito i suoi amici e benefattori in un grande prato, dove si proponeva di far sorgere uno dei centri della sua attività apostolica. “Quando ebbe finito di parlare, fu uno scroscio di applausi e la folla lo assalì da ogni parte. Malgrado tutto, mi fu possibile di avvicinarlo. Appena gli ebbi accennato di dove venivo e perché, mi rispose: «È una questione seria di cui dobbiamo parlare con calma. Venga a trovarmi domani». E mi dette l’indirizzo del suo ritiro di via delle Sette Sale. Là mi accolse come un amico di lunga data:– Conosco Padre Pio da parecchio tempo – mi disse. - Abbiamo avuto occasione di incontrarci qualche volta… Recentemente, ho avuto l’occasione di collaborare con lui. Un mattino, dopo aver celebrato la Santa Messa nella cappella degli Svizzeri, a Sant’Anna del Vaticano, ebbi la visita di un brav’uomo, che mi disse col migliore accento di Trastevere - Don Orione, salvatemi. Ho cinque figli e da due anni non posso più lavorare. Guardate! E mi mostrò la mano destra paralizzata e deforme. – Ho fatto tutti gli ospedali di Roma, mi sono sottoposto a tutte le cure che mi vennero ordinate, ma senza il minimo effetto. I medici hanno finito per dichiararmi inguaribile. Guaritemi, don Orione, perché possa sfamare i miei figli. – Caro, gli risposi, non sono mica un santo per fare dei miracoli. Ve n’è uno che li fa, ma abita un po’ lontano, nei pressi di Foggia: «È Padre Pio da Pietrelcina»! – Sono pronto a mettermi in viaggio, don Orione, se mi consigliate di andarci. - Ebbene, andateci da parte mia. - E posso domandargli, da parte vostra, di guarirmi? - Certo, lo potete, perché lo desidero di cuore. Una settimana dopo, avevo finito di celebrare in sant’Anna, quando vidi il brav’uomo riapparire in sacrestia. Era raggiante. – Don Orione, vengo a ringraziarvi. Padre Pio mi ha guarito. Mi sono presentato da parte vostra e gli ho chiesto di guarirmi. – «Se è don Orione che ti manda» – mi disse, semplicemente. E tracciò un segno di Croce sulla mia mano… Ed ecco qua! – Ciò dicendo, si mise ad agitare sotto i miei occhi la sua mano guarita» (Franciscus, n.106, 1963, p.88-89). Anche al confratello don Giuseppe Dutto, che gli chiedeva se avesse mai conosciuto Padre Pio, infatti, Don Orione rispose che “non si erano mai visti, ma che si conoscevano”. E non volle aggiungere altro. D’altra parte, un avvocato di Montevideo, parlando a Padre Pio di Don Orione, raccontava che lo sentì esclamare: “Quello sì che è un santo! Io non sono neppure degno di toccargli l’orlo del vestito!”. A parte queste confidenze sui rapporti con Padre Pio, dunque, Don Orione sfogliò i due incartamenti che Brunatto gli aveva portato e, dopo averli esaminati attentamente, esclamò: “La carità è la massima virtù cristiana, ma non vi può essere vera carità al di fuori della giustizia”.