Blog della Tradizione Cattolica Apostolica Romana

martedì 25 aprile 2017

MARTIN LUTERO “OMICIDA” E “SUICIDA”il frate che, come Giuda, finì, anche lui, “in locum suum”… (all’inferno!). SAC.don Luigi Villa

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«Quando la Messa sarà stata rovesciata, io sono convinto che avremo rovesciato con essa il papismo. (...). Io dichiaro che tutti i postriboli, gli omicidi, i furti, gli assassini e gli adultèri sono meno malvagi di quella abominazione che è la Messa dei papi!». (Martin Lutero)

Quindi si potrebbe dire che Lutero è all’inferno! Ed eccone i motivi principali: egli fu “omicida”, ed è per questo che Lutero dovette rifugiarsi in un convento, come vedremo più avanti; e morì “suicida”, dopo una ennesima orgia serale! Ma prima tratteggiamo, in breve, la sua vita. Lutero nacque a Eisleben, in Sassonia, il 10 novembre 1483. Era figlio di un minatore. La famiglia si trasferì a Mansfeld, la città dei minatori, sei mesi dopo la sua nascita. Qui, Martino vi trascorse i suoi primi 14 anni frequentando le scuole private locali. In seguito frequenterà, per un anno, la scuola capitolare dei canonici, in Magdeburgo e, l’anno dopo, la scuola di S. Giorgio, ad Eisenach. All’età di 18 anni entrava all’università di Erfurt per studiarvi filosofia e diritto. Era l’anno 1501. Nel 1505 era già “Magister Artium”, ossia Dottore in Filosofia. Nello stesso anno, a maggio, iniziava lo studio del Diritto, ma vi durò solo per sei settimane, circa! Ora passiamo a quella sua “entrata in religione”, il 2 luglio 1505, che avvenne «non tanto perché attratto, quanto trascinato»! (“non tam tractus quam raptus”); e questo non per un trauma dovuto a un violentissimo uragano, vicino a Stotternheim, in cui sarebbe mancato poco che non vi perisse, ma perché… 


MARTIN LUTERO “OMICIDA” 

Ebbene, in quel suo libro, il dott. Dietrich Emme afferma che Lutero entrò in convento solo per non cadere sotto gravi sanzioni giuridiche, che gli sarebbero incorse dopo che egli avrebbe ucciso, in duello, un suo collega di studi. L’Autore del libro su indicato così descrive il “fatto” che noi, qui, sunteggiamo: Lutero - scrive - non si ferì da solo, ma perché si era battuto in duello con quel compagno. Allora, Lutero era “Bacelliere” della facoltà di Filosofia. In seguito a questo duello, comunque, dovette abbandonare la celebre “Burse Porta-Coeli” di Effurt (del collegio “Amplonianum”) e andare a rifugiarsi nella poco stimata “Burse” di San Giorgio. Qui, bisogna sapere che gli studenti già graduati - a partire dal “Bacellierato” - avevano il diritto di portare la spada, ma non potevano farne uso, pena un grave castigo. Tutti gli universitari, perciò, dovevano giurare di sottomettersi a quest’ordine. Tuttavia, i litigi tra loro, anche a mano armata, erano assai frequenti. Perfino le dispute degli esami, spesso venivan continuate con la spada. Per questo, gli esaminandi, prima dell’esame, dovevano giurare di non vendicarsi per le “note” ricevute! Ma nei libri dei Decanati delle Università medioevali vi figurano molti decessi di universitari dopo gli esami, proprio per l’uso delle armi! Ora, subito dopo che Lutero ebbe dato il suo esame di “Magister” della facoltà filosofica, avvenne una morte misteriosa: quella di un certo Jérôme Buntz, che aveva dato anch’egli, con esito positivo, il suo esame di “Magister”, assieme a Lutero e ad altri 15 candidati. Ebbene, costui morì proprio tra l’esame e la promozione a “Magister”! L’Autore sopra citato scrive che furono proprio Lutero e Buntz a scontrarsi in duello, e che fu Lutero a ferire mortalmente il compagno! (Necessità di difesa?.. azione passionale?..). Da tener presente che Lutero si era già battuto in un altro duello - come abbiamo già detto - vicino a Erfurt, da cui era uscito malconcio; ma, con questo secondo duello, in cui uccise il suo collega di studi, Jérôme Buntz, oltre che incorrere in due scomuniche, Lutero, per sfuggire alla condanna a morte, andò dal suo protettore ed amico Johannes Braun, vicario collegiale a Eisenach, per chiedergli consiglio. Fu nel giugno 1505. Braun lo sollecitò ad entrare in un Ordine religioso, proprio per evitare un processo giudiziario! E così Lutero, il 17 luglio 1505, riparò nel convento degli “Eremiti Agostiniani”, allora coperto dal “diritto d’asilo”!Qui, vorrei ricordare il famoso “Ludovico” di manzoniana memoria, che riparò anch’egli in un convento - dopo aver fatto un “occhiello nel ventre” di quel “signorotto”! - da dove, però, pentito e rinnovato nello spirito, uscì col nome di “Fra Cristoforo” di santa memoria! Lutero, invece, si farà anch’egli, sì, “frate”, ma, benché reo confesso del suo delitto, rimase sempre un frate inquieto e turbato! Lo dirà lui stesso in una sua predica dell’anno 1529: «Ego fui, ego monachus, der mit Ernst fromm wollt sein. Sed je tieffer ich hin ein gangen bin, yhe ein grosser bub et homicida fui» (= Io fui, io monaco, che voleva essere seriamente pio. Invece, sprofondai ancor di più: io sono stato un grande mascalzone e omicida - WA W 29,50,18). E in un altro discorso conviviale di Lutero, trascritto da Veit Dietrich, si legge: «Singulari Dei consilio factum sum monachus, ne me coperent. Alioqui, essem facillime captus. Sic autem non poterant, quiaes nahm sich der ganze orden mein an» (= Per un singolare consiglio di Dio sono divenuto monaco affinché non mi arrestassero. Altrimenti, sarei stato facilmente arrestato! Ma così non poterono, poiché tutto l’Ordine si occupava di me - WA Tr 1,134,32). L’edizione (delle opere di Lutero) di Weimar si apre col suo primo Trattato, redatto da lui stesso, che inizia così: «Tractatulus doctoris Martini Lutherii, Ordinari Universitatis Wittembergensis. De his qui ad ec-clesias confugiunt tam indicibus secularibus quar Ecclesiae Recto-ribus et Monasteriorum Prelatis perutilis» (= Un breve Trattato del dott. Martino Lutero, ordinario dell’università di Wittenberg, su coloro che fuggono nelle chiese; assai utile per i giudici secolari come per i rettori ecclesiastici e prelati dei monasteri). Questo trattatello anonimo vide la luce nel 1517, mentre l’edizione del 1520 apparve col nome di Lutero. Ora, tutto fa pensare che quel Trattatello fu stampato, per la prima volta, proprio nello stesso anno che Lutero espose le sue 95 tesi, allo scopo di una giustificazione personale. Difatti, in esso vi si fa menzione che, secondo la legge di Mosé, chi uccide un uomo senza essergli stato nemico, per errore e senza premeditazione, non è reo di morte!

MARTIN LUTERO “SUICIDA” 

Abbiamo già detto che Lutero, nonostante si fosse fatto “frate”, non ebbe mai pace interiore, ma attraversò continui periodi di crisi, di lotte morali e di angosce di spirito spaventose. Anche questo può far pensare che la sua entrata in religione sia stata il frutto di una “vocazione” molto discutibile, e piuttosto il risultato della paura di un sicuro processo e di una sicura condanna, anche a morte, e non certo, quindi, una chiamata divina, né un bisogno interiore di solitudine e di preghiera! Una crisi, quindi, la sua, che si fece sempre più accentuata con l’andare degli anni, fino a portarlo… al suicidio! Lo psicanalista M. Roland Dalbiez, nel suo studio su “L’angoscia di Lutero”, gli attribuisce «…una nevrosi d’angoscia gravissima, talmente grave che ci si può domandare se essa non sia dovuta a uno stato-limite alle frontiere tra la nevrosi, da una parte, e il “raptus suicida”, dall’altra parte, un automatismo teleologico anti-suicida». È un testo di uno psicanalista, questo, sulle orme del pensiero di Freud, che vorrebbe insinuare una “non-libertà” di un Lutero ammalato di nervi. Ora, questo potrebbe forse spiegare perché Lutero, per sfuggire alla voce della sua coscienza e soffocare in lui la continua angoscia, abbia ripreso la tesi - falsamente attribuita a Sant’Agostino! - sulla “giustificazione” mediante la sola Fede, senza le opere, grazie al sacrificio del Cristo che ha portato su di Sé i peccati degli uomini. Leggiamo, qui, il testo di Lutero (un po’ contorto): «Bisogna guardare il Cristo quando tu vedrai che i tuoi peccati ti si sono attaccati; tu, allora, sarai come al sicuro di fronte ai peccati, alla morte e all’inferno. Tu devi dire, allora: i miei peccati non sono miei, perché essi non sono in me, ma sono in un altro, cioè nel Cristo, per cui non possono nuocermi. Ci vuole uno sforzo estremo, infatti, per poter afferrare queste cose attraverso la Fede e crederle fino al punto di dire: io ho peccato e io non ho peccato, affinché sia vinta la coscienza, questa dominatrice potentissima che spesso ha trascinato gli uomini alla disperazione, al coltello o alla corda»… «Si conosce l’esempio di un uomo che, tormentato nella sua coscienza diceva: io non ho peccato! In realtà, la coscienza non può essere tranquilla se non quando i peccati sono allontanati dal suo sguardo. Bisogna, quindi, che essi siano allontanati dal tuo sguardo, in modo tale che tu abbia a guardare non quello che tu hai fatto, non la tua vita, non la tua coscienza, ma il Cristo…»È chiaro che un tale testo non ha nulla di automatico, bensì è un ragionamento ben sofisticato; è un rifiuto, cioè, della verità! Io ho peccato - dice Lutero - ma io non voglio riconoscerlo. Ora, questo è un immergersi nella menzogna, è un volersi auto-suggestionare; è come un ammirarsi in ogni peccato e in ogni errore, tacitando la coscienza come Caino di fronte al suo peccato! Di sicuro, anche Lutero non si era certo rasserenato con l’inventarsi quella sua “giustificazione” mediante la sola Fede! Né egli stesso vi ha mai aderito in pieno, perché ben sapeva di essersi “fabbricato” un proprio sistema religioso e morale, e perciò ben sapeva che era tutto una menzogna, come quella di un fanciullo che dice alla madre, diventando rosso in viso: «Non sono stato io!». Comunque, questo suo odio contro la coscienza non può essere certo di origine divina e neppure umana, ma solo frutto di una tentazione demoniaca! Satana, infatti, sa bene che spingendo un’anima contro la ragione e la coscienza, lui vi entra da maestro! «Un peccato riconosciuto, è un peccato perdonato!» gli sussurrava. E ancora: «Ad ogni peccato c’è misericordia!». Negando, però, di essere colpevole, uno si ravvolge in un orgoglio assurdo, perché il peccato, che lui dice “non commesso”, non gli viene perdonato, ma anzi lo segue sino a diventarne un’idea fissa e perfino una fonte di nevrosi, per cui non gli resterà altro che il suicidio per tacitare la coscienza e… Dio! È come una fuga in avanti! Ora, fu questo il cammino interiore di Lutero! Sulla sua crisi d’angoscia sentiamo anche la testimonianza di Melantone, il quale scrisse: «Spesso, quando egli (Lutero) pensava con attenzione alla collera di Dio o ai clamorosi esempi di castighi divini, egli veniva come colpito da un terrore tale che perdeva quasi la conoscenza. (“Subito tanti terrores concutiebant, ut paebe exanimaretur”). Io stesso, prendendo parte, un giorno, a una discussione dottrinale, l’ho visto come colpito da costernazione e andare a stendersi su di un letto in una camera vicina, alternando una sua invocazione a un versetto che ripeteva di frequente: “Dio ha come rinchiuso gli uomini nel peccato per usare misericordia a tutti!”» (“Conclusit omnes sub peccatum ut omnium misereatur”!). Lutero, quindi, si sforzava di gettare su Dio la responsabilità dei peccati! Ma gli uomini non sono obbligati al peccato perché essi hanno la libertà di respingere le tentazioni, né essi sono prigionieri di un “selfarbitre”, come l’ha affermato Lutero! Anche Cochlacus ci racconta di una crisi che colse Lutero quando egli era monaco. Assistendo, cioè, in coro, alla lettura del Vangelo di San Marco, là dove si parla di quell’uomo “posseduto” dal diavolo, Lutero cadde a terra gridando: «Non sono io! non sono io!…».In un frammento del “Propos de Table” viene riportata una conversazione tra Lutero e il pastore di Gûben, M. Léonardt, avvenuta nell’anno 1551: «Ci disse che, quando egli era prigioniero, il diavolo l’aveva malvagiamente tormentato e che aveva riso di tutto cuore quando egli (Lutero) aveva preso in mano un coltello, dicendogli: “Su via! ucciditi!”». (…) E ci disse che lui (Lutero) aveva spesso dovuto gettare lontano da sé il coltello… e che un giorno dovette fare lo stesso quando egli, vedendo per terra un filo, l’aveva raccolto, assieme a tanti altri fili, si da farne una corda alla quale egli avrebbe potuto impiccarsi!.. Poi ancora ci disse che il diavolo l’aveva spinto fino al punto che egli non era più capace di recitare il “Pater noster” né di leggere i Salmi, che pure egli così bene conosceva!.. e che il dott. Lutero gli aveva detto: «Questo mi è capitato molto spesso, tanto da prendermi in mano un coltello… e che cattivi pensieri mi venivano in mente così, da non poter più pregare... e il diavolo mi ha perfino cacciato fuori dalla stanza!».Più che una tentazione, quindi, possiamo dire che in Lutero c’era, ormai, come una morbida impulsione al suicidio! Voglio anche far notare, adesso, la predilezione che Lutero, a Wittenberg, aveva verso un giovane suo allievo di nome Jérôme Weller. Era un giovane anch’egli portato alla malinconia, alla tristezza; e Lutero gli dava questi consigli: «Ogni volta che il demonio ti tormenta con questi pensieri di tristezza, cerca subito la compagnia dei tuoi simili, o mettiti a bere o a giocare, e fai discorsi licenziosi, e cerca di divertirti! Dobbiamo fare anche qualche peccato, per odio e disprezzo verso il demonio, per non dargli l’occasione di crearci degli scrupoli per niente!..». E continuava: «… e quale altra ragione credi tu che io abbia per bere sempre meno acqua, per avere sempre meno ritegno nel parlare, e di amare sempre più i buoni pranzi? Con questo, anch’io voglio infischiarmi del diavolo e tormentarlo, lui che vuole tormentarmi e burlarsi di me! Oh! se potessi trovare anche qualche buon peccato per beffarmi del diavolo e per fargli comprendere che io non riconosco alcun peccato e che la mia coscienza non me ne rimprovera alcuno!.. Bisogna assolutamente allontanare dai nostri occhi e dal nostro spirito ogni decalogo!..». Da notare che Lutero, allora, era pur sempre professore di Sacra Scrittura! Ebbene, come tale, in un suo commentario, del 1535, su l’Epistola ai Galati di San Paolo, domandandosi come sia stata abrogata la legge mosaica, Lutero così spiegava: «Essa è, tutt’intera, senza riserve, un testo che non può più né accusare né tormentare i fedeli! In essa vi è una dottrina della più alta importanza che bisogna predicare sui tetti, poiché essa porta serenità alle nostre coscienze, specie nelle ore in cui lo spavento ci opprime. Io l’ho detto di frequente e lo ripeto ancora, perché non lo si dice mai abbastanza che il cristiano, che abbraccia i benefici del Cristo con la Fede, è assolutamente al di sopra di ogni legge, ed è libero da ogni obbligo sui diritti della legge… Quando Tommaso (leggi: S. Tommaso d’Aquino) e gli altri teologi della Chiesa parlano della legge di Mosé, essi dicono che sono le leggi giudiziarie e cerimoniali dei Giudei che sono state abrogate, ma non le leggi morali (cioè quelle del Decalogo); ma costoro non sanno quel che si dicono!..». Povero Lutero!... ma ormai era all’apostasia totale! Poco prima della sua morte, una sera, Lutero era assiso su una panchina, solitario, nel suo giardino a Wittemberger. Lo raggiunse la sua convivente, l’ex suora Caterina Bora. Lutero era immerso in un cupo silenzio, guardando il cielo. D’improvviso, egli grida: «O bel cielo! io non ti vedrò mai più!». Caterina, terrificata, si avvicinò a lui. «E se noi ritornassimo indietro?», gli disse. «No - rispose Lutero - inutile sognarcelo!». «E perché?» mormorò la donna. «Il carro, ormai, è troppo impantanato!»8. E per sfuggire la vista di quel cielo che lo eccitava e gli procurava rimorsi, Lutero si alzò e andò a chiudersi nella sua casa. La grazia di Dio, anche quella volta, era passata invano! E ormai, in lui, c’era un follìa ossessiva che non l’abbandonava più, e una disperazione che gli rodeva il cuore! «Io non posso più pregare senza maledire!» diceva. «Invece di dire: il tuo nome sia santificato, io dico: Maledetto! sia dannato il nome del papista! Invece di dire: il Tuo Regno arrivi! io dico: Maledetto! che sia dannato e annientato il papismo! Invece di dire: che la Tua Volontà sia fatta, io dico: Maledetto! che siano dannati i piani dei papisti!… Ecco la mia preghiera!». La vita dell’apostata Lutero, quindi, era già diventata un vero inferno per lui! Ed egli temeva la morte, pur invocandola di continuo: «Il mondo è sazio di me e io sono sazio di lui! - diceva - ma presto farò divorzio… Ah, se ci fosse qui un turco per uccidermi!…». Nel suo “Propos de Table” aveva scritto: «Il demonio spinge gli uomini dapprima alla disobbedienza e al tradimento, come Giuda; poi li spinge alla disperazione, in modo che essi finiscono col perdersi o strangolarsi»! E continuava dicendo che il demonio «ha una voce così terribile da spingere alcuni uomini, dopo un colloquio notturno con lui, a farli trovare, il giorno dopo, morti! E questo arriverà anche a me!».È una allucinante riflessione che prova come Lutero avesse chiaro davanti a sé la sua fine. E questo dimostra anche che non sempre il suicida compie un gesto di follia, ma può anche compiere un gesto lucido di possessione diabolica!
IL “SUICIDIO” DI LUTERO 
Vi sono varie “testimonianze”, protestanti e cattoliche, su questo ultimo gesto disperato di Lutero. Qui, ci basti ricordare la principale; quella del suo servo personale, Ambrogio Kuntzell (o Kudtfeld) il quale, colpito nell’animo da quel terribile castigo di Dio sul suo padrone, finì col confessare tutte le particolarità! Ecco la sua testimonianza: «Martin Lutero, la sera prima della sua morte, si lasciò vincere dalla sua abituale intemperanza e con tale eccesso che noi fummo obbligati a portarlo via, del tutto ubriaco, e coricarlo nel suo letto. Poi, ci ritirammo nella nostra camera, senza nulla presagire di spiacevole! All’indomani, noi ritornammo presso il nostro padrone per aiutarlo a vestirsi, come d’uso. Allora – oh, quale dolore! – noi vedemmo il nostro padrone Martino appeso al letto e strangolato miseramente! Aveva la bocca contorta, la parte destra del volto nera, il collo rosso e deforme. Di fronte a questo orrendo spettacolo, fummo presi tutti da un grande timore! Non di meno corremmo, senza alcun ritardo, dai prìncipi, suoi convitati della vigilia, ad annunziare loro quell’esecrabile fine di Lutero! Costoro, colpiti dal terrore come noi, ci impegnarono subito, con mille promesse e coi più solenni giuramenti, ad osservare, su quell’avvenimento, un silenzio eterno, e che nulla di nulla fosse fatto trapelare. Poi, ci ordinarono di staccare dal capestro l’orribile cadavere di Lutero, di metterlo sul suo letto e di divulgare, dopo, in mezzo al popolo, che il “maestro Lutero” aveva improvvisamente abbandonata questa vita»! Questo è il racconto della mortesuicida di Lutero, fatta dal suo domestico Kudtfeld; un “racconto” che fu pubblicato, ad Aversa, nel 1606, dallo scienziato Sédulius. Il dottor de Coster - subito chiamato! - fu lui che constatò che la bocca di Lutero era contorta, che la parte destra del suo viso era nera e che il collo era rosso e deforme, come se fosse stato appunto strangolato. Questa sua diagnosi la si può verificare su una incisione che Lucas Fortnagel fece subito il giorno dopo la morte di Lutero, e che fu pubblicata da Jacques Maritain nella sua opera: “Tre riformatori”, a pagina 49 (dell’edizione francese)9. Lutero, quindi, non morì di morte naturale, come si è falsamente scritto su tutti i libri di storia del protestantesimo, ma morì “suicida”10 nel suo stesso letto, dopo una lautissima cena in cui, come al solito, aveva bevuto smisuratamente e si era rimpinzato di cibo oltre ogni limite! Sopra il suo letto, un giorno, egli vi aveva scritto: «Papa, da vivo ero la tua PESTE; da morto sarò la tua MORTE»! (“Pestis eram vivus, moriens ero mors tua”). C’è da inorridire, ma anche da meditare! Uno storico contemporaneo narra che una frotta di diavoli, sotto sembianza di corvi, volarono attorno al suo corpo gracchiando paurosamente, e che l’accompagnarono, poi, fino alla tomba! E c’è anche quest’altro episodio storico: «A Graz (Austria), un Padre francescano, in una sua predicazione, affermava che Lutero era dannato… Una sera, col pretesto di amministrare una ammalata, un uomo lo venne a cercare… Invece di trovarsi davanti ad una ammalata, il Padre francescano si trovò in presenza di 5 uomini che, mostrandogli una rivoltella, gli dissero che se non dava la prova che Lutero era all’inferno, non sarebbe uscito vivo dalla stanza. Il Religioso, vero uomo di Dio, depose il SS. Sacramento che portava con sé e si mise in adorazione; poi, recitò la preghiere dell’esorcismo… Improvvisamente, fu bussato alla porta. «Entrate!» – dissero gli uomini – ma nessuno entrò! Pochi istanti dopo, però, la porta si aprì e Lutero, incandescente come un carbone ardente, entrò nella camera. Era in mezzo ad altri due demoni! I cinque uomini presero la fuga…» (Cfr. B.C. 63, p. 4, 1982). *** A questo punto, ci si può porre la domanda: ma allora Lutero è all’inferno? E si potrebbe dire di sì! L’arco della sua vita, infatti, tra quell’omicidio giovanile e quel suicidio a fine vita, è tutto marcato da una esistenza di “eretico insensato” (Pio VI - 9 marzo 1783), di bestemmiatore accanito, di bevitore impenitente, di gozzovigliatore formidabile (fu definito, per questo, il “doctor plenus”!), di spergiuro e sacrilego (passò anche a sacrileghe nozze con una “monaca”, Caterina Bora, da lui stesso tirata fuori dal monastero per liberarla dalle bende monacali!), di apostata (la sua cosiddetta “riforma” fu una sovversione, “ab imis”, della Fede, della Morale, della costituzione divina della Chiesa!), di continui peccati impuri (sì da essere chiamato dai suoi conterranei: “Saxonicus porcus”!), di facile scurrilità e trivialità (cfr. “Discorsi conviviali”… tutto uno schifo!), di violento nelle passioni, di uomo anormale di sindrome patologica, di sfrenato egocentrismo, di megalomania, di aggressività verbale incontrollata, di sessualità al parossismo, di aizzatore alla guerra dei contadini (che abbandonava per mettersi coi padroni; scrisse perfino che «era tempo ormai di sgozzare i contadini come cani rognosi» – cfr. Erl. III, 306), di monoideismo, di nemico mortale del Papa, di affossatore della Messa («Io dichiaro che tutti i postriboli, gli omicidi, i furti, gli assassini e gli adulteri sono meno malvagi di quella abominazione che è la messa papista!»), di appartenenza alla massoneria (era affiliato alla sètta di Rosacroce11 e… chi più ne ha più ne metta!
Ma allora, dopo tutto questo po’ po’ di roba, chi avrebbe ancora il coraggio di definire Lutero “il nostro comune maestro”, come lo definì in una sua vanesia espressione un Cardinale? E come si potrebbe spiegare quello che il cardinale Willebrands, Segretario per l’Unità dei Cristiani, affermò, nel 1970, in occasione dell’Assemblea plenaria della “Lega Mondiale Luterana”, a Evianne (Ginevra), che, «nel corso dei secoli, la persona di Martin Lutero non è stata apprezzata rettamente e la sua teologia non è stata sempre resa in modo giusto»? E quell’altro che scrisse sulla Rivista “Documentation Catholique” del luglio 1983, sotto la foto di Lutero: «Lutero, testimonio di Cristo»?.. E, peggio ancora, come si può accettare quello che scrisse Giovanni Paolo II, nel cinquecentesimo anniversario della nascita di Lutero, in una lettera indirizzata allo stesso Cardinal Willebrands e firmata, purtroppo, dal Papa stesso, nella quale si riconosce a Lutero una “profonda religiosità”?.. Ma non è proprio Lutero che derideva la preghiera mentale e il raccoglimento interiore? E non è lui che, col suo “esto peccator et pecca fortiter”, fa ricordare il “fai ciò che vuoi”, che è il comandamento prima della nuova legge dettata dal diavolo Alwass ad Aleister Crowley?12 Ancor più recentemente, il cardinale tedesco Walter Kasper, presidente del “Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani”, spiega: «Da Lutero abbiamo molto da imparare, a cominciare dall’importanza attribuita alla parola di Dio. Da tempo nella Chiesa cattolica si sta affermando una visione più positiva, una concezione meglio articolata di Lutero come figura che ha anticipato aspetti che la Chiesa ha nel tempo riscoperto e inscritto nel proprio percorso». Anche il Cardinale Ratzinger invitava a riflettere “molto seriamente” sul frate agostiniano e a “salvare ciò che vi è di grande nella su teologia”, mentre da Papa Benedetto XVI, in una riflessione sulla figura e le teorie del suo connazionale Lutero, disse: «Non sbagliava quando sosteneva che ci si salva solo per la fede», e ancora: «Lutero aveva molte idee cattoliche»! Ma non è questa la realtà di tutti gli eretici: avere “molte idee cattoliche”, ma non “tutte”? Lutero all’inferno, perciò, non può essere che una logica conseguenza di tutta questa sua vita sbagliata e fortemente peccaminosa! Anche se, purtroppo, oggi, per un ecumenismo distorto, di matrice massonica, Lutero, già cacciato fuori dalla Chiesa da cinque secoli di storia e dal Concilio - “de fide”! - di Trento, lo si sta facendo di nuovo rientrare dalla porta, lodato perfino con pubblico elogio! Ma per noi, ma per la Storia, Lutero rimane sempre un omicida e un suicida; rimane sempre l’eretico insensato, il “porcus Saxoniae”, il frate “pagano”, il degenerato clandestino sulla nave di Pietro, il frate che, come Giuda, finì, anche lui, “in locum suum”… (all’inferno!).

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